Le volontarie che combattono il tumore

In via Resia una struttura dove si possono fare le visite di prevenzione. Ma mancano i fondi per proseguire l’attività


di Riccardo Valletti


BOLZANO. In uno dei rivoli in cui si perde via Resia, al numero 26L, da anni lotta per la sopravvivenza la sede altoatesina dell’Anvolt, l'Associazione volontari per la lotta contro i tumori. Una decina di persone, quasi tutte donne, che prestano servizio gratuitamente per fare quella prevenzione che continua a salvare migliaia di donne dal cancro alla mammella o all'utero.

Nell'ambulatorio lavorano a turni due dottoresse del San Maurizio, ginecologhe che hanno scelto la via del volontariato invece di aprire uno studio medico privato. Ecografie, Pap-test, visite al seno, tutto gratis per un totale di circa 1500 prestazioni l'anno; e visite a domicilio ai malati di cancro, per assisterli e se serve anche accompagnarli alle sedute di chemioterapia. Un gruppo di angeli che da Bolzano ha allargato il campo d'azione a tutta la provincia, che macina chilometri per raggiungere anche l'ultimo maso della Venosta se qualcuno chiama per chiedere aiuto. Tutto gratis. Ma il volontariato costa, e per le ragazze di via Resia è arrivato il momento di chiedere aiuto. La crisi si è già portata via il 10% delle donazioni dai privati cittadini, e l'ecografo, antico dono (di seconda mano) del San Maurizio per l'apertura dell'ambulatorio nel '99, si è deciso a chiudere la sua egregia carriera lasciando la struttura senza il suo più grande alleato. "Lavoriamo sul filo del rasoio e lo trattiamo col massimo della delicatezza - spiega Monica Vadalà, responsabile del centro - ma è agli sgoccioli, si potrebbe inchiodare da un momento all'altro e per noi sarebbe la fine". Mentre parla quasi accarezza l'apparecchio, che tante visite ha portato a termine negli ultimi anni. "La crisi si sta facendo sentire - racconta Monica - gli altoatesini sono sempre stati generosi, ma dall'anno scorso le donazioni sono calate, e questa struttura costa sempre di più". Nessun contributo provinciale, perché l'associazione è nazionale con sede a Milano, ha costretto Monica a prendere le sue due sorelle per metterle a sedere davanti a un telefono a fare ricerca di fondi. "Chiamiamo tutto l'elenco telefonico casa per casa - racconta Deborah, ex segretaria lasciata a casa da una ditta in crisi - chiediamo un contributo, e spesso otteniamo in risposta male parole, però è l'unico modo per racimolare i fondi, una chiamata su cento può anche andare in porto". C'è anche chi ha scoperto di avere un talento per l'assistenza ai malati, come Barbara Fornasa, che aveva iniziato per spirito di volontariato e si è appassionata al lavoro, ora studia per specializzarsi in assistente oncologica. “Sono ancora all'inizio - sorride - e i tre anni di corso che mi restano mi sembrano un'infinità, ma sono determinata a farcela". Insieme a lei danno una mano anche due nonne volontarie, Aurelia Linder e Cristina Fischer, "non ci va di fare le anziane parcheggiate in casa, vogliamo renderci utili". Una vera squadra di donne dinamiche e che non si scoraggiano, "i problemi non sono pochi - confessa la responsabile - ma alla fine della giornata ce ne torniamo a casa sempre col sorriso, cerchiamo tutte di dare il massimo per portare avanti questa struttura". Se ci fosse un genio della lampada a cui esprimere i propri desideri, Monica Vadalà sarebbe pronta a srotolarli tutti di un sol fiato: "Ci serve un urologo volontario per i pazienti uomini, ma soprattutto ci serve un nuovo ecografo, altrimenti è la fine".

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