L’intervista

Michele Tomasi, vescovo di Treviso: «Non ho nostalgia dell'Alto Adige ma i miei fedeli si stupiscono»

Bolzanino di origine, nel 2019 è stato nominato vescovo della città veneta: «In questi cinque anni la mia vita è cambiata radicalmente. Dalla responsabilità alla rete di relazioni: oggi tutto ha un peso diverso»


Antonella Mattioli


BOlZANO. «Nostalgia? Ovviamente, non dimentico le mie radici, ma qui mi trovo davvero bene. Sono molto impegnato e credo sia giusto vivere pienamente e cercare di conoscere la realtà in cui ci si trova ad operare. In Alto Adige torno ormai raramente. Oggi a parlarmi della mia terra e a stupirsi del fatto che io non provi nostalgia sono i fedeli trevigiani». Così si racconta don Michele Tomasi, 58 anni bolzanino, laurea in Economia alla Bocconi, già rettore del Seminario maggiore di Bressanone, dall'autunno del 2019 vescovo di Treviso. Pochi giorni fa la visita di un gruppo di parrocchiane e parrocchiani di Gries al vescovo che per loro però è rimasto semplicemente "don" Michele.

Lei torna poche volte in Alto Adige, invece i suoi ex parrocchiani vengo spesso a trovarla?

Non spessissimo, ma sanno che le mie porte sono sempre aperte.

I trevigiani cosa le raccontano della sua terra d'origine?

Vengono in vacanza e sono tutti innamorati dell'Alto Adige. Per questo si stupiscono che io non abbia nostalgia. Mi dicono: «Com'è possibile che non gli manchi?».

Com'è l'Alto Adige visto da fuori?

Un posto dove quando ci si vive, si ha l'impressione di essere al centro del mondo. Poi, come è capitato a me, ci si trasferisce in un'altra realtà e si scopre che spesso e volentieri si è commesso l'errore di scambiare la tipicità con l'unicità.

Com'è cambiata in questi cinque anni la sua vita?

Completamente. È cambiata la rete di relazioni; è cambiato il livello di responsabilità. E poi ogni parola va "pesata". Sinceramente, non pensavo ci fosse tanto da lavorare: inizio la mattina presto e finisco la sera tardi. L'agenda è sempre piena di appuntamenti.

Non lo aveva messo in conto?

Non mi ero mai posto il problema, perché non pensavo che sarei stato nominato vescovo.

Anche in Veneto c'è una pesante carenza di sacerdoti come in Alto Adige?

Va un po' meglio. La diocesi di Treviso ha circa 900 mila abitanti; nelle 265 parrocchie operano 326 sacerdoti diocesani; 120 religiosi. Hanno tra i 40 e i 60 anni.

In Seminario quante persone ci sono?

Al Seminario maggiore ci sono 17 persone. Spero di riuscire a tenere aperto ancora a lungo il Seminario minore: ci sono 15 ragazzi delle medie e 15 delle superiori.

Di questi tempi 17 potenziali sacerdoti sono tanti.

 Vista la situazione generale direi sì, ma rimane comunque il numero più basso dell'ultimo secolo.

Le chiese nella sua diocesi sono ancora frequentate?

Abbastanza, perché nella mia diocesi ci sono ancora zone molto legate alla tradizione. Abbiamo anche un'Azione cattolica attiva sul territorio; gli oratori e in estate il Grest con centinaia di bambini.

Per il futuro?

Vanno coinvolti di più i laici.

 E i giovani?

Ci sono tanti giovani che si danno molto da fare; e altri appiattiti sul presente che hanno perso il gusto della memoria e i sogni per il futuro. Non hanno interesse al mondo degli adulti e sono difficili da intercettare.

Quanto conta oggi il Papa?

«Quante divisioni ha il Papa?» Aveva chiesto a suo tempo Stalin. Risposta: nessuna. Il suo continuo richiamo alla ragionevolezza in tempi di guerra, impone alle coscienze una riflessione. Purtroppo, non ha quell'influenza che vorremmo.

Trova ancora il tempo per suonare la chitarra?

Raramente. Quando mi capita, finisce che tutti ne parlano e ne scrivono. Tanto che sembra che passi il tempo suonando la chitarra.













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