Monika non ha avuto il tempo di reagire 

L’esame rivela: nessuna ferita da difesa. La donna è morta soffocata dal sangue entrato nella trachea. Almeno tre tagli


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Sulla salma di Monika Gruber, la donna di 57 anni sgozzata dal marito nel letto matrimoniale, non sono state rilevate ferite da difesa. È uno degli elementi più importanti emersi dall’autopsia affidata ieri ad una professionista dell’Università di Verona. Dunque i casi sono due: o la vittima è stata sorpresa nel sonno (e non ha avuto il tempo di reagire) oppure era stata narcotizzata e, dunque, si è trovata nell’impossibilità concreta di reagire, non rendendosi neppure conto di quanto stesse accadendo. Nel primo caso saremmo di fronte ad un omicidio estremamente crudele commesso da un uomo che aveva sempre dimostrato di amare la donna della sua vita. Nel secondo si rafforzerebbero i sospetti di un’azione programmata a freddo, forse dettata da una profonda disperazione, che prevedeva come atto finale anche il suicidio di Robert Kerer. Per avere qualche dato certo su eventuali sostanze somministrate alla vittima prima della tragedia sarà ovviamente necessario attendere l’esito degli esami del sangue che da quest’oggi verranno effettuati nei laboratori universitari di Verona. Per il momento l’unico dato certo emerso dall’autopsia riguarda la causa di morte. La lacerazione della gola di Monika Gruber non è avvenuta con un taglio unico e secco. Il collo della vittima è stato attinto almeno due o tre volte «senza un apprezzabile interruzione temporale» tra i vari tentativi. La donna non sarebbe morta per emorragia ma per asfissia. I profondi tagli alla trachea con lesione di diversi vasi sanguigni vicini avrebbero provocato una forte perdita di sangue con conseguente soffocamento per l’ostruzione delle vie respiratorie. Nessuna indicazione è ancora giunta dagli inquirenti sul giorno della tragedia. Per il momento resta ancora in piedi l’ipotesi che la morte della donna sia avvenuta 48 ore prima del ritrovamento. Robert Kerer, dunque, avrebbe vegliato il corpo per quasi due giorni tentando dapprima di tagliarsi le vene (diversi segni in tal senso sono stati rilevati sulle braccia) per poi progettare di gettarsi sotto un treno nei pressi della stazione ferroviaria di Bressanone ove giovedì sera è stato trovato in tempo dai carabinieri. Come noto, quando è stato fermato l’uomo aveva in tasca un biglietto confessorio: «Io sono un assassino» con riferimento alla moglie. Pochi minuti dopo è transitato un treno merci e Robert Kerer avrebbe sussurrato ai carabinieri: «Quello era il mio treno....» Poi il silenzio.

In carcere l’uomo ha un comportamento che preoccupa: ha chiesto di essere sistemato in una cella singola e ripete di voler parlare con un sacerdote. Un incontro con il cappellano della struttura c’è stato ma è durato solo un paio di minuti. Ovviamente si teme che Robert Kerer tenti nuovamente di farla finita. Sul fronte movente il mistero è ancora fitto. I carabinieri stanno completando gli interrogatori di vicini e conoscenti e non hanno ancora depositato in Procura l’informativa finale. Sembra comunque confermato che l’uomo avesse problemi di carattere economico, che fosse fortemente preoccupato anche per il futuro della moglie e che in alcune occasioni eccedesse nel consumo di bevande alcoliche. Nulla, comunque, che possa in qualche maniera spiegare una simile esplosione di follia, sempre che la tragedia non sia riconducibile ad un terribile piano di morte (omicidio-suicidio) che l’uomo non ha saputo portare sino in fondo. Intanto i due figli che giovedì sera hanno dato l’allarme dopo aver trovato la madre in un lago di sangue, non hanno più voluto avere contatti con lui.

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