Il caso

No-vax, la Croce bianca sospende 298 volontari 

A casa l’8% del totale: impossibile distinguere tra operatori a contatto o meno con i pazienti, Molto diversa la situazione tra i dipendenti, soltanto due hanno deciso di non vaccinarsi



BOLZANO. La procedura ha richiesto un po’ di tempo, ma adesso il quadro è completo: dell’esercito di 3.700 volontari della Croce bianca altoatesina, ben 298, pari circa all’8%, non sono vaccinati.

Impossibile distinguere tra chi è impegnato in soccorsi e chi fa attività non a contatto diretto con i pazienti: motivo per cui per tutti è scattata da poco la sospensione, anche se tecnicamente, non trattandosi di dipendenti, si parla di messa in aspettativa. Ma la sostanza non cambia. A queste cifre si aggiungono una cinquantina di volontari che hanno smesso di fare servizio.

Quasi irrilevante invece la percentuale dei dipendenti sospesi perché rifiutano la vaccinazione: si tratta solo di due casi su 470.

Ma quanto pesano i no-vax sui servizi offerti dalla Croce bianca? «Fortunatamente - assicura il direttore della potente organizzazione altoatesina Ivo Bonamico - riusciamo a coprire tutti i servizi. Certo dispiace dover perdere personale formato, sul quale si era investito e con il quale si era creato un rapporto di fiducia, ma queste sono regole e vanno rispettate. Non possiamo avere in servizio persone non vaccinate. Di buono c’è che, alla nostra recente campagna, hanno risposto 180 nuovi volontari. Inoltre, nell’ultimo anno, abbiamo assunto un centinaio di persone».

La Croce Bianca è un’organizzazione con un fatturato di 38 milioni di euro e 135 mila soci, a dimostrazione che gli altoatesini hanno capito l’importanza di sostenere l’associazione. Da due anni a questa parte in prima linea nella battaglia contro il Covid.

«Assieme alla Croce rossa - spiega ancora Bonamico - facciamo tra i settecento e gli ottocento trasporti infermi al giorno: di questi circa sessanta sono di pazienti Covid. Si aggiungono circa duecento emergenze, di cui venti con pazienti Covid».

La presenza di un paziente positivo richiede l’adozione di una serie di misure di protezione che complicano e allungano i tempi dell’intervento. Di qui la necessità di avere a disposizione più personale di quello che serviva prima che la pandemia arrivasse a sconvolgere la vita di tutti.

«In passato - dice il direttore - quando avevamo bisogno di fare delle assunzioni, in genere pescavamo tra i volontari. Adesso facciamo fatica anche noi a trovare nuovo personale, per far fronte alle sempre maggiori richieste. Da due anni - tanto per fare qualche esempio - gestiamo il centro di quarantena di Colle Isarco; abbiamo garantito i centri di testing e girato la provincia con i bus per cercare di vaccinare il maggior numero di persone in poco tempo. Questo ci ha consentito di fare nuove esperienze; di acquisire un bagaglio di conoscenze in ambiti sconosciuti fino all’arrivo della pandemia». A.M.













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