Omicidio a Rasun, Dzenana rinuncia al possibile sconto 

Rito ordinario nonostante il rischio carcere a vita. Una scelta difficile e molto rischiosa La donna ha preferito potersi difendere sino in fondo utilizzando tutte le carte in mano ai legali


Mario Bertoldi


Bolzano. Quasi una sfida. Dzenana Mangafic, la donna di 58 anni , originaria di Sarajevo, accusata di aver ucciso a coltellate il 4 dicembre di tre anni fa l’ex coniuge Kurt Huber (di cui era diventata badante) ha deciso di affrontare il processo davanti alla Corte d’assise. L’imputazione è da ergastolo: omicidio volontario aggravato. «La decisione sul rito non è stata una scelta semplice» ha puntualizzato ieri in aula l’avvocato Andreas Tscholl (difensore di fiducia assieme al collega Angelo Polo) a conclusione di un colloquio di una trentina di minuti con l’imputata. Dzenana Mangafic (che si è sempre dichiarata estranea al delitto avvenuto a Rasun di Sotto) ha però preferito scegliere il rito che le permette di giocarsi tutte le carte a disposizione per dimostrare la sua innocenza, rinunciando anche al diritto dello sconto di un terzo della pena in caso di condanna. Per la donna, però, il processo sarà tutto in salita perchè se è vero che manca agli atti la prova della cosiddetta «pistola fumante» e anche vero che il racconto fornito agli inquirenti è sempre apparso piuttosto fantasioso e privo di riscontri. Del fantomatico omicida (che sarebbe stato visto entrare nell’abitazione della vittima completamente vestito di nero compreso un vistoso cappello) non è mai stata trovata traccia. Nessuno in paese ha mai detto di ricordarselo (nonostante l’abbigliamento per lo meno insolito indicato dall’imputata) nè è stata rilevata traccia dalle telecamere di sicurezza attive in zona. Eppure la donna sembra sicura di riuscire a dimostrare la sua estraneità ai fatti. Ieri davanti alla Corte d’assise un punto a proprio favore la difesa è riuscita a metterlo a segno. La Corte infatti ha dichiarato la non utilizzabilità di una intercettazione ambientale disposta dal giudice delle indagini preliminari su richiesta della Procura nel domicilio dell’imputata, prima dell’arresto. Nelle immagini girate da micro telecamere spia l’imputata venne ripresa mentre mimava i momenti l’accoltellamento di una persona riversa sul letto (esattamente come fu ucciso l’ex marito Kurt Huber). La captazione di quelle immagini è però risultata illegittima in quanto il codice prevede la possibilità di violare il domicilio privato di un indagato solo in presenza di una probabile attività criminosa. La motivazione fornita all’epoca dal giudice (la ricerca del coltello utilizzato per l’omicidio ed il possibile occultamento di denaro della vittima) è stata considerata insufficiente. Quelle immagini, dunque, escono dal processo. Gli avvocati hanno poi contestato la violazione dei diritti di difesa per l’esame necroscopico con il quale venne a suo tempo indicata l’ora presunta della morte grazie all’estrazione dai bulbi oculari di liquido organico. Operazioni non ripetibili effettuate in assenza di contraddittorio. I giudici decideranno dopo aver sentito in aula il perito.













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