Case di riposo

Operatori no-vax guariti: al lavoro nelle Rsa sei mesi 

La presidente Martina Ladurner: «Ci adeguiamo anche noi alle disposizioni dell’Asl».La direttrice di Assb Liliana Di Fede: «Per le strutture una boccata d’ossigeno, a fronte delle gravi carenze di personale»


Antonella Mattioli


BOLZANO. «La circolare è stata inviata alle nostre case di riposo venerdì. Fugati tutti i dubbi: anche le Rsa si adeguano a quanto sta già avvenendo con il personale sanitario Asl. Ciò significa che al pari di infermieri e medici, anche operatori socio-sanitari (Oss) e operatori socio assistenziali (Osa), sospesi perché non vaccinati - ma guariti dal Covid - possono rientrare in servizio per sei mesi - non più solo per tre - prima che gli venga chiesto di adempiere all’obbligo vaccinale».

Una boccata d’ossigeno, spiega Martina Ladurner, presidente dell’associazione che raggruppa tutte le 55 strutture per anziani distribuite sul territorio altoatesino, per un totale di 4.575 posti letto. Proprio la cronica carenza di personale alla quale si aggiungono ferie, malattie e sospensioni causa mancate vaccinazioni, fa sì che ci siano circa 600 posti letto tenuti vuoti. La lista d’attesa è lunga, ma ovviamente è impossibile evadere le domande se manca il personale.

«Ormai data la situazione, aggravata dall’aumento dei contagi all’interno delle strutture - ammette Liliana Di Fede, direttrice di Assb che gestisce le case di riposo del Comune -il fatto che i non vaccinati possano restare in servizio sei mesi invece che tre, dà un po’ di sollievo. Anche se l’obiettivo è che si vaccinino tutti prima possibile».

A sollevare il caso del differimento vaccinale è stato solo pochi giorni fa Stefano Boragine - segretario provinciale del sindacato Ago, da sempre in prima linea nella difesa del personale che pur lavorando a contatto con persone fragili rifiutano il vaccino.

In una lettera inviata al presidente del Consorzio dei Comuni Andreas Schatzer, denunciava la diversità di trattamento tra medici ed infermieri iscritti ai rispettivi Ordini da una parte; operatori delle case di riposo dall’altra.

Ricordiamo che ad aprire la strada alla nuova interpretazione sono stati gli Ordini professionali di medici e infermieri anche alla luce di due pronunciamenti del Tar della Lombardia.

Per gli iscritti le sospensioni vengono decise dagli Ordini stessi (dal 27 novembre in poi); per tutti gli altri Oss e Osa decide invece il relativo datore di lavoro, in questo caso l’Asl. Viste la perdurante possibilità di ricorsi e la richiesta di risarcimenti anche importanti, dato che i lavoratori sospesi rimangono a casa senza stipendio, gli Ordini non vogliono correre il rischio di pagare.

Decisamente contrario all’interpretazione del decreto 24/22 data dagli Ordini, l’avvocato Marco Cappello, direttore ripartizione legale Asl. Innanzitutto per una questione giuridica: in sede di interpretazione del decreto 24/22, che dal 25 marzo ha riconosciuto per la prima volta la valenza della guarigione agli effetti della riammissione in servizio, il Ministero della Salute ha precisato che chi guarisce dal Covid ha il diritto di tornare a lavorare per tre mesi dall’infezione (4 mesi se manca la sola dose booster), e siccome non ha finora cambiato posizione in merito - secondo il legale - non si vede come gli Ordini possano disattendere autonomamente le direttive ministeriali. Proprio in questi giorni però la Commissione salute ha deciso di sottoporre formalmente la questione al Ministero, per fare finalmente chiarezza.

«In ogni caso - precisa Cappello - a fronte di chi, tra medici e infermieri guariti ma non vaccinati, preme per tornare; c’è chi richiamato in servizio in virtù della decisione aziendale di riconoscere sei mesi di interruzione della sospensione, ribatte che non rientra perché in ferie. C’è chi vuole tornare a metà luglio, chi a fine mese».













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