Padroncini, interviene l'Ispettorato

Flader: «Troppi fallimenti, sottoposti a forme sofisticate di caporalato»


Riccardo Valletti


BOLZANO. Non ci stanno a fare la parte dei furbi che si arricchiscono alle spalle dei loro, ormai ex, dipendenti; sono gli imprenditori altoatesini che dal promettente appalto con Dhl sono saltati nel calvario del fallimento: la loro impresa cola a picco, resta un vortice di cause legali, lettere di creditori e un'esistenza da rifare da capo. Tante storie con un solo copione. Padroncini del settore trasporti che tentano di fare il «salto di qualità», un contratto per una grande multinazionale che promette fatturati da capogiro, le banche finanziano investimenti e assunzioni, uno o due anni di attività per ritrovarsi spolpati fino all'osso.

I soldi promessi non sono mai arrivati, a fine mese il guadagno effettivo è la metà del previsto, è impossibile verificare i conti, e si finisce per pagare invece di essere pagati. Tutto in regola, secondo Dhl, il contratto è stato rispettato alla lettera. Salvatore Parisi, coordinatore della bolzanina Jordan srl, fallita dopo cinque anni di servizio, è lapidario: «Vanno in cerca delle imprese più in salute per succhiare la loro linfa vitale, poi quando stai per morire ti staccano la spina e passano sul tuo cadavere».

La Jordan è finita in un baratro profondo un milione di euro, e sta ancora aspettando da Dhl il pagamento degli ultimi quattro mesi di attività. Per il direttore dell'ispettorato provinciale del lavoro, Sieghart Flader siampo di fronte a «una nuova forma di caporalato molto sofisticata». Impossibile obiettare anche sui dati della fattura. «Ci dicevano loro quante consegne avevamo effettuato, quante mancate e il saldo da fatturare - racconta ancora Parisi -, solo una volta abbiamo messo una persona a verificare in parallelo per un mese e secondo noi alla conta mancavano duemila pacchi mai arrivati a Bolzano, ma ci hanno detto che i nostri dati non contavano niente».

Intanto il debito cresceva, con le banche e con i fornitori, e la dirigenza Dhl distribuiva consigli: «Ci hanno detto di non pagare i contributi ai dipendenti, poi ci dissero che potevamo utilizzare gli incassi dei pagamenti in contrassegno per mettere la benzina, che li avrebbero scontati in un secondo momento››. Fino alla resa dei conti, il rinnovo del contratto. ‹‹Volevamo un aumento delle tariffe, perché nel frattempo il costo dei carburanti era salito tantissimo, e cercavamo di ottenere condizioni più umane, con possibilità di decidere su alcune scelte», risultato: quattro dirigenti arrivano in deposito con una squadra di facchini, imballano tutto e traslocano a un chilometro di distanza con un contratto già firmato per un'altra ditta.

I fallimenti nel settore express-courrier non sono una novità per l'ispettorato provinciale del lavoro, Sieghart Flader. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le vertenze dei lavoratori che finiscono senza stipendio, e in alcuni casi è stata chiamata in causa la responsabilità in solido della casa madre nei loro confronti in quanto dipendenti delle ditte in appalto. Ups e Sda sono già state obbligate a risarcimenti, ma nel frattempo lo schema di contrattazioni calibrate sul filo della legalità si è andato espandendo. «Emerge un fenomeno che abbiamo già visto nell'edilizia - afferma Flader - ma molto più sofisticato: si tratta di quello che comunemente si chiamerebbe caporalato, o interposizione di manodopera». Suscita quest'ipotesi il racconto di personale alle dirette dipendenze della casa madre che fornisce direttive all'impresa in appalto direttamente nel deposito, ma non solo: «A questo va aggiunta l'impossibilità di mantenere il controllo della contabilità aziendale, in questo modo l'appaltatore assume tutto il rischio d'impresa senza avere nessuna autonomia nelle decisioni».

Ma c'è anche un secondo fattore di rischio, quello legato alla sicurezza dei lavoratori. La corsa ai ripari di un fatturato dimezzato spesso comporta risparmio sulla manutenzione dei mezzi: molti viaggiano con ruote lisce, freni da rifare e senza assicurazione. La partita si gioca tutta sul terreno impervio del burocratese degli studi di consulenza legale delle case madri, che di volta in volta e forti delle esperienze accumulate nelle aule di tribunale, calibrano i contratti.

Spiega Flader: «Per evitare la parola "appalto", che comporterebbe la responsabilità solidale della casa mare insieme a una lunga lista di altri obblighi di legge, i contratti assumono i nomi più disparati (tipo "accordo per servizi logistici"), oppure si rifanno al contratto nazionale dei trasporti». Ma nel secondo caso la ditta dovrebbe solo "trasportare" il pacchetto da un punto all'altro. ‹‹In molti casi siamo riusciti a contestare questi ibridi riconducendoli alla forma dell'appalto facendo in modo che le case madri si assumessero parte delle responsabilità del fallimento››. (ri.va.)













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