«Per vivere qui devi “saltare” gli steccati»

Parla Giancarlo Podini: «Il gruppo italiano? Sempre più debole perché troppo diviso»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Alla vigilia dei novant’anni, Giancarlo Podini arriva ogni giorno nel suo ufficio alla Podini Holding in via Galilei. È uno dei protagonisti della storia di uno dei grandi gruppi imprenditoriali in Alto Adige, ereditato dalle generazioni precedenti, potenziato e consegnato ai figli Stefano, Giovanni e Alessandro. Ricorda con simpatia l’esperienza giovanile come giornalista, ma le sue interviste sono rare. Lo abbiamo incontrato.

Come è iniziata la sua storia di imprenditore in Alto Adige?

«Mio nonno e mio padre erano imprenditori in Lombardia nel ramo lattiero-caseario. I Podini vivevano tutti nel raggio di 30 chilometri dal Duomo di Milano. Durante la Prima guerra mondiale i caseifici vennero distrutti e mio padre nel 1919 si trasferì a Bolzano, avviando una attività di commercio di alimentari. Poi entrammo in campo io e i miei fratelli Patrizio e Piergiorgio. Iniziò così l’epoca dei supermercati. Un passo dopo l’altro, sono entrati nel gruppo i miei figli, che da tempo hanno preso in mano le aziende, diversificando le attività. E ora negli uffici inizio a vedere i nipoti... Siamo alla quinta generazione di imprenditori. Operiamo da oltre novanta anni in Alto Adige e sono orgoglioso di avere creato centinaia e centinaia di posti di lavoro».

A parità di condizioni, potrebbe esserci oggi un nuovo Podini?

«Il gruppo pone le sue speranze nei giovani, che sono molti e ben preparati. Preoccupa un eccessivo e contraddittorio numero di leggi, fenomeno che non è gradito neppure a chi non deve continuamente confrontarsi con dispositivi, norme e ordinanze».

Parliamo di politica. Lei apparteneva alla Democrazia cristiana o si considerava vicino a quell’area?

«Indubbiamente sono stato vicino alla Dc sin dalle prime elezioni amministrative del 1946 e dalle politiche del 1948. E non avrebbe potuto essere diversamente. All’epoca ero responsabile dei Comitati civici in Alto Adige. Era una organizzazione politica, attenzione non un partito, “suggerita”da Alcide De Gasperi all’epoca della visita in America e dello schieramento dell’Italia con l’Occidente. Ero presidente della Azione cattolica e delle numerose associazioni collegata alla stessa, come il Centro sportivo italiano (Csi), che fungeva da Coni per i giovani al di sotto dei 16 anni. Questo ruolo mi dava il diritto di partecipare agli organi, anche decisionali della Dc, pur non essendovi iscritto. Il mio impegno in numerose associazioni fu apprezzata da De Gasperi, che mi volle nelle elezioni politiche del 1953. Non venni eletto, ma la cosa divertente fu che ricevetti un numero enorme di preferenze. Arrivai secondo, dopo De Gasperi. E non avevo speso una sola lira di campagna elettorale. All’epoca funzionava così, bastava essere conosciuti e apprezzati...».

I suoi figli hanno frequentato le scuole di lingua tedesca: aveva capito in anticipo il valore del bilinguismo per il gruppo italiano, o semplicemente era un passo necessario perché il potere stava già lì?

«Scelta libera e consapevole. Come era possibile non cogliere l’occasione di apprendere, sin dall’asilo, una seconda lingua? E ciò vale per tutte le lingue. Il “potere” non ha avuto alcun peso. È stata una scelta squisitamente culturale e non politica. E oggi i miei nipoti hanno la fortuna di conoscere l’inglese e lo spagnolo, oltre all’italiano e al tedesco».

Come è nata la vostra decisione di puntare come imprenditori su alcuni settori? «La storia recente è conosciuta. Come accennavo prima, le famiglie di mio nonno, di mio padre e degli zii operavano in Lombardia nel settore lattiero-caseario. Durante la Prima guerra mondiale tutti i tre giovani Podini, Oreste, Vittorio e Mario, vennero chiamati alle armi e i caseifici furono chiusi. Ultimato il servizio militare, i Podini ripresero la produzione di burro e formaggi e contemporaneamente attivarono attività di commercio, sia di loro prodotti che di altri forniti dal mercato. La profonda modificazione arrivò negli anni Sessanta, già insediati da tempo in Alto Adige, quando entrarono in azienda i miei fratelli Patrizio e Piergiorgio. Il gruppo era entrato nella grande distribuzione, organizzata con il sistema degli affiliati e delle aziende di proprietà nel settore alimentare. La scelta del settore economico cui dedicare energie da parte delle nuove generazioni (Giovanni, Alessandro e Stefano) è frutto di strategie di diversificazione del rischio».

Come considera lo stato di salute del gruppo italiano? «Non amo parlare seguendo queste categorie. Per me è come se distinguessi tra magri e grassi... Si sarà notato che per tradizione i Podini si tengono lontano da discussioni di carattere etnico. Sono cresciuto a cavallo tra i due gruppi, per me non avrebbe potuto esserci nulla di più normale. Con la mia famiglia abitavo nel centro di Bolzano, i vicini erano tutti di lingua tedesca e quella era la mia vita. E da imprenditore nel settore dell’alimentare una parte importante della nostra attività era legata alle valli. Ci sono state stagioni facili e altre più complicate. Dopo gli anni terribili della Seconda guerra mondiale la priorità era ristabilire un clima di fiducia e ripartire. Detto questo, se il gruppo italiano è in declino, il primo responsabile è il gruppo italiano stesso».

Perché?

«Siamo 70-80 mila elettori e siamo riusciti a proporre 17 partiti. Siamo ridicoli. Ci sono gruppetti di dieci persone che fondano un partito per cercare di accalappiare una poltrona con i resti. Se non riusciamo a creare al massimo due partiti, uno conservatore e uno più progressista, che possano rappresentare il gruppo italiano in giunta provinciale, il nostro peso politico, e quindi decisionale, tenderà a zero. Anche la Svp ha bisogno di un interlocutore con le idee chiare, per definire insieme un percorso per la nostra provincia».

Il mondo imprenditoriale ha rinunciato a formare una classe politica?

«Rispondo per noi. Il gruppo è sempre rimasto estraneo alla politica, anche durante il Fascismo. La mia stessa candidatura negli anni Cinquanta, come ho spiegato, era legata al mio impegno associativo. Nessun vantaggio il gruppo Podini ha tratto dalla politica. Il binario inderogabile su cui muoverci resta quello economico. Allo stesso tempo è nostra tradizione vedere al di là dell’azienda, ad esempio con i progetti di sostegno della Podini Foundation in Eritrea, Cambogia e anche in Alto Adige. Si potrebbe dunque pensare, al di là della mia età, a un impegno a favore della comunità, per mettere a disposizione esperienza e capacità. Ma oggi chi si mette in gioco con la politica e l’amministrazione pubblica deve temere l’intervento della Corte dei Conti o della procura per ogni passo. Mi rovinerei la vita. No grazie».

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