Povertà: 150 famiglie chiedono aiuto per il cibo

Tre volte al mese in vicolo San Giovanni, Volontarius distribuisce i sacchetti Tanti gli stranieri, gli italiani sono pochi ma solo perché si vergognano


di Alessandro Bandinelli


BOLZANO. Per tre mattine al mese vicolo San Giovanni si riempie di persone che hanno bisogno di aiuto per poter mangiare. È gente normale, donne con i passeggini, anziani; italiani e stranieri che non arrivano alla fine del mese e che da un paio d’anni possono contare su questo servizio di distribuzione di generi alimentari messo a disposizione dall’associazione Volontarius.

Luca De Marchi, 20 anni, è uno dei ragazzi volontari che qui riempiono le sporte.

Quanta gente chiede aiuto per mangiare?

«Circa centocinquanta famiglie al mese, ma nei nostri registri risultano circa 500 nuclei familiari che vanno dal singol a famiglie numerose, anche di tredici figli».

Come funziona?

«Le persone che vogliono accedere agli aiuti devono presentare i documenti in regola e lo stato di famiglia, noi rilasciamo una tessera che invitiamo conservare con cura e non perdere. Questa tessera deve essere presentata per avere diritto a ritirare gli alimenti, e su questa registriamo tutto quello che esce dal magazino».

Cosa date alle persone che ne hanno diritto?

«Tutto quello che ci viene donato attraverso le collette alimentari e raccolte volontarie: pasta, pelati, olio, tonno, scatolami vari, anche latte per neonati se qualcuno ce lo porta, o frutta e verdura fresca se capita. Poi ci sono i prodotti dell'Agea (Agenzia per l'erogazione di prodotti agricoli ndr) che vengono distribuiti solo a coloro ce ci consegnano anche il modello Isee che indica il reddito familiare».

A quanto ammonta il valore della spesa?

«Più di venti euro a persona, sicuramente, ma alla fine tre pacchi di pasta e qualche scatola di pomodoro non sono molto per un mese intero, però rappresentano una buona base, e per alcune famiglie fa la differenza».

La gente può scegliere cosa prendere e cosa no?

«No, la gente prende quello che diamo, se non lo mangia lo togliamo, se vuole ma non lo possiamo sostituire: ogni cosa che esce dal magazzino viene registrata. La mattina vengono qui con le buste, e la tessera, noi volontari riempiamo le buste e poi il pomeriggio tornano a prenderli».

Avete notato un aumento delle persone che hanno bisogno?

«Al momento no, ma ogni mese abbiamo 5 nuove iscrizioni, evidentemente qualcuno esce dal servizio perché magari ha superato la fase di difficoltà. Altri vanno via perché non accettano le regole che mettiamo. Ci dispiace, ma per noi l'organizzazione è molto importante, è l’ occasione per chi tante volte proviene da situazioni di disagio di rapportarsi di nuovo alla società attraverso delle regole e dà loro l’idea che questo sia un diritto e non una cosa di cui vergognarsi. Per molti italiani invece mettersi in fila qui, con chi ha bisogno, rappresenta ancora un tabù: viene vissuto come un fallimento. Molte persone di nazionalità italiana vengono a informarsi, scoprono che ne avrebbero diritto ma poi rinunciano perché provano vergogna. Attualmente stiamo cercando di attivare una rete di solidarietà con tutti gli altri centri di distribuzione alimentare, come la San Vincenzo per esempio, in modo da unire le banche dati e poter raggiungere ancora più persone.»

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