Salewa, l’orto dei migranti dove è possibile fare la spesa 

Verso l’integrazione. Inaugurato il terzo anno di attività del “Garden” di Bolzano Sud Il progetto di Heiner Oberrauch: «Non avere niente da fare è una delle cose peggiori al mondo» 


Paolo Campostrini


Bolzano. "Non avere niente da fare è una delle cose peggiori al mondo, toglie dignità e speranza per il futuro". É così che è nato l'orto di Heiner Oberrauch. É dietro la sua Salewa, ed è il giardino dei migranti. Ha bussato ad un po' di porte il patron di una delle imprese più ecosostenibili del pianeta, prima di mettersi a decidere in proprio: associazioni, istituzioni e tutta l'ufficialità dell'accoglienza . "Poi mi sono detto: non è che la politica possa risolvere tutto. Magari mi impegno io". Così, da tre anni, in quei tremila metri quadrati a Bolzano sud, a pochi metri dalla parete delle arrampicate, ci lavorano i profughi. Chi sono lo spiega Martin Knapp che è il responsabile del progetto Salewa garden: "Noi chiediamo ai centri di accoglienza di parlare ai loro ospiti di questa opportunità, loro interrogano i ragazzi stranieri e questi decidono se venire qui o no". Quest'anno sono in dieci ad aver preso vanga e stivali e a mettersi a coltivare lamponi e mirtilli, insalate e erbe aromatiche, pomodori e tutto il resto. Almeno 40 tipologie di verdure e di frutti. Loro, i profughi, vengono da Siria, Palestina, Senegal, Sierra Leone, due del Ghana i più dalla Nigeria. Al centro, c'è l'idea guida del progetto di far uscire le persone dalla realtà separata dei centri di accoglienza e di farli entrare in contatto con le persone che vivono qui e qui lavorano. E così l'orto diventa anche una sorta di arma impropria per togliere esseri umani dalla precarietà, offrire loro un orizzonte di possibili relazioni, imparare un mestiere e, dunque, per aumentare non tanto indirettamente anche la sicurezza complessiva di un luogo. In questo terzo anno di attività del Salewa Garden, inaugurato ieri non c'è solo Heiner Oberrauch e i suoi. Questa volta la giardineria Schullian ha offerto le piante e i semi per l'orto, la coop produttori di sementi della val Pusteria le patate. Cinque i volontari che si muovono tra le piccole dune coperte di paglia dove crescono le verdure secondo i principi della permacultura. "Si tratta di una tecnica - spiega Francesco Sardella, il capo giardiniere - che va oltre il biologico. Che protegge semi e terreno e, dopo un paio d'anni, è in grado di elaborare un humus ottocento volte più vitale di quello tradizionale". Insomma, l'orto è quanto di più sostenibile si possa immaginare. In linea con la filosofia dell'intera azienda. Al punto che anche il concime viene prodotto dal riciclo della lavorazione dei sacchi a pelo attraverso la rielaborazione funzionale delle piume. E i migranti? "Partono da zero - dicono i volontari dell'orto - dai lavori più semplici fino alla conoscenza delle piante e delle sementi". Il compenso, per questi ragazzi stranieri, deriva dal frutto del loro lavoro. E visto che l'orto non ha praticamente costi vivi, dato che gli sponsor garantiscono i supporti tecnici e i materiali e la Salewa il terreno già di sue proprietà, questo significa che la frutta e la verdura prodotta, i profughi se la possono vendere e garantirsi un equo ricavato. E come? Attraverso l'azione diretta. Tutte le settimane, dal lunedì al giovedì (orari dalle 16.30 alle 18.30) chiunque può recarsi al Salewa Garden, a due passi dal bar del bivacco , guardarsi l'orto, vedere volontari e gli ospiti al lavoro, valutare i mirtilli o le insalate e poi portarsele a casa, pagandole il giusto. E andandosene, possono pensare che, volendolo, tutto è possibile. Anche guardare ai drammi ( e ai problemi) dell'emigrazione come ad una opportunità.













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