Salghetti, il “civile” prestato alla politica

Durnwalder: «Una colonna portante della nostra amministrazione. Fu decisivo per porre le basi legali dell'autonomia»



Giovanni Salghetti Drioli va in pensione, lui sì un autentico “civile” prestato alla politica, proprio nei giorni in cui la politica cerca volti spendibili nella società civile. Li cerca solo perché non può più farne a meno. Perché la campana suonata al Nord per Prodi e il nascituro Pd suona anche qui, dove si rinnovano i quadri con cadenze più peninsulari che alpestri. Qualcuno ha calcolato l'età media di chi sta mettendo in piedi a Roma il nuovo soggetto politico: 57/8 anni, l'età in cui Blair è andato in pensione.

Salghetti si è defilato quando tanti suoi amici di partito, molti in politica ben prima di lui, alcuni arruffati protagonisti di sconfitte più brucianti delle sue, cercano ancora posto nel nostro gramo pantheon bipolare. Salghetti aveva tanti nemici. Ma molti se li era fatti non arretrando di un passo nelle battaglie in cui credeva. Una per tutte, il bagno di sangue politico intorno alla ridedicazione di Piazza Vittoria. Anche in quel caso la sconfitta ebbe un solo padre, lui. Il terzo mandato se l'è giocato perché insisteva con alcuni {no} in mezzo ad avversari per i quali tutto era possibile, anche l'impossibile. No ai comitati che volevano chiudere al traffico ogni via di Bolzano come a quelli che chiedevano di aprirne di nuove anche in mezzo ai frutteti. La sua giunta si nascondeva, gli assessori si defilavano contando i voti che avrebbero perduto. Salghetti no. Una sera, quando la nevrosi collettiva aveva colto via Roma per via dell'apertura di un normale supermercato, era sceso in strada da solo.

Ci sono ancora le fotografie che lo fissano nella terra di nessuno tra i vigili in servizio d'ordine e i cartelli che i manifestanti gli facevano roteare davanti al naso: {Stop al supermercato, Salghetti affumicatore}. Tutti quelli dei cartelli adesso fanno la spesa in quel magazzino. Una sua frase tipo? {Bisognerebbe ogni tanto dire quello che si pensa senza aspettare che tutti la pensino come te}. Un buon viatico per i suoi amici rimasti al fronte. Perché l'aria che tira oggi è un'altra: per stare larghi con le alleanze meglio stare stretti con le idee. E' una deriva che non riguarda solo il nascituro Pd. Anche in Comune la questione è ai limiti della teorizzazione programmatica: arginale sì, no, sotterranea, lungo il fiume, in galleria. Tutto è possibile perché nulla diventi fattibile.

Nulla va deciso in via definitiva perché tutti restino al loro posto in coalizione. La parola chiave è {condivisione}: o ci stanno tutti o non se ne fa nulla. Di solito non si fa nulla. Anche con Durnwalder Salghetti aveva mostrato denti che sembrava non possedere, tenendo la schiena dritta sulle prerogative del capoluogo in una stagione in cui la Provincia poteva finalmente dispiegare le sue, e dunque tendeva a non fare prigionieri. Ma poteva farlo perché possiede solide basi ideologiche: la Bolzano che difendeva non era solo italiana ma anche tedesca. La sua visione dei rapporti di forza, territoriale e mai etnica, impastata di lealtà urbana non di aggressività municipale. In tanti imputano a Salghetti un buon numero di errori. Il referendum sul Monumento, la levità del suo impegno politico, la sua poca spendibilità partitica, l'assenza di tigna nei rapporti con avversari ed alleati.

Questo gli rinfacciano gli amici di area. I nemici aggiungono l'assenza di orgoglio nazionalistico, la lealtà col mondo tedesco, un certo messianismo etnico che gli faceva intravvedere scenari multiculturali privi di aderenza con la realtà, l'aria sognante e così poco palestrata. Andava a casa e al lavoro a piedi Salghetti. Camminava sempre con lo stesso passo. E' questo che a qualcuno dava fastidio. Non accelerava mai, camminava sempre senza fermarsi. Un commissariamento sul ponte Bailey, due mandati in cui la città è cambiata; anni dove è apparsa l'arginale, le case popolari, Bolzano sud e i suoi nuovi insediamenti terziarizzati, la scommessa dell'areale e il progetto dell'arginale bis. Le baruffe con Durni sugli alberi tagliati davanti al Museion ma anche il nuovo Museion impostato e il Teatro.

Di fronte a realizzazioni così scandite sembra che oggi si viva di rendita. Senza nessuno che indichi il cammino o un'impresa in cui gettarsi, oppure un sogno in cui credere. Il buon Salghetti ha perso tante battaglie per errore di calcolo o presunzione; in alcune si è gettato senza curarsi di essere solo, altre (poche) le ha vinte solo perché ci credeva, non perché fossero alla portata. Ma almeno le ha combattute. Chapeau.













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