Studio dei buchi neri Princeton chiama e Bolzano risponde 

Il bolzanino Massimo Gaspari, 34 anni, ricercatore negli Usa «In Italia tornerei, ma i fondi per la ricerca sono pochi»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «La cosa che più mi manca dell’Italia? Il cibo e lo stile di vita. Oggi, in autostrada arrivato al primo autogrill di ritorno dagli Stati Uniti, ho ordinato un piatto di spaghetti». Pasta ed espresso a parte, Massimo Gaspari, 34 anni, astrofisico bolzanino - uno dei tanti cervelli italiani in fuga - negli Stati Uniti può dedicarsi alla sua grande passione: la ricerca concentrata in particolare sui segreti che si “nascondono” nei buchi neri. Studio, analisi dei dati, simulazioni fatte grazie alle tecnologie di ultima generazione riempiono oggi le sue giornate. Da due anni lavora come ricercatore presso la Princeton University, nel New Jersey, uno dei più prestigiosi atenei del mondo: ha partecipato ad un concorso della Nasa e il suo progetto di ricerca ha ottenuto una borsa di studio per cinque anni.

« A parte il discorso fondi ed il fattore storico - Einstein vi ha lavorato per 20 anni - ho scelto Princeton, perché è uno dei centri più importanti per l’astrofisica a livello mondiale. Sia come ricercatori e professori che come supporto tecnico: è al primo posto nel ranking Usa».

A Bolzano è tornato per una breve vacanza?

«Niente vacanza per ora. Da lunedì sono a Sesto per un workshop di una settimana. Il piccolo centro dell’Alta Pusteria negli anni è diventato un luogo di incontro importante per astrofisici che arrivano da tutto il mondo. È un’occasione da non perdere per vedersi, conoscersi, confrontarsi sulle ultime scoperte».

Come nasce la passione per una materia particolare com’è l’astrofisica?

«Mio padre è ingegnere, mia madre insegnante di lettere. Hanno assecondato la mia passione, ma a trasmettermela non sono stati loro. Il merito è dei miei insegnanti del liceo scientifico Torricelli dove mi sono diplomato: Gianpaolo Fedele mi ha fatto amare matematica e fisica, la professoressa Annarita Mautone le scienze naturali. Quando si è trattato di scegliere l’università, per me è stato naturale puntare sulla fisica applicata allo studio di astri e cosmo. Mi sono laureato a Bologna, poi tre anni di post dottorato al Max Planck Institute di Monaco».

Mai pensato di tornare in Italia?

«Certo che ci penso, ma non a qualsiasi condizione».

Il problema per l’Italia è sempre lo stesso: scarsità di fondi per la ricerca.

«Purtroppo è così: i soldi a disposizione sono pochi e i ricercatori sono destinati a rimanere precari per troppi anni. È chiaro che gli Stati Uniti, la Germania e i Paesi del Nord Europa che investono molto nella ricerca riescono ad attirare il meglio da tutto il mondo e i risultati si vedono. È un peccato perché l’Italia, nonostante la scarsità di fondi a disposizione, ha fior fior di ricercatori che fanno molte pubblicazioni e ottengono ottimi risultati».

Nel suo futuro cosa vede?

«La ricerca e l’insegnamento. Quando c’è qualche concorso per l’università lo faccio, Italia compresa. Ma, realisticamente, non ci sono grosse possibilità di tornare nel mio Paese. Non è escluso però che, un giorno, terminata l’esperienza americana, possa andare ad insegnare in qualche università in Germania o del Nord Europa».















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