Toponomastica: «competenza limitata»

Gli esperti: Provincia schiacciata fra Corte costituzionale, Regione e Comuni


Davide Pasquali


BOLZANO. Le competenze delle Provincia in materia toponomastica sono minori di quanto usualmente si ritenga, ché a rompere le uova nel paniere sono Corte costituzionale, Regione, Comuni. Lo ha spiegato ieri il giurista Francesco Palermo durante l'audizione di esperti nella commissione speciale per la toponomastica istituita dal consiglio provinciale.

Unica via d'uscita per intervenire in materia - ha sostenuto Palermo - è sì far nascere una consulta provinciale che si occupi di redigere il repertorio toponomastico altoatesino, come previsto dal dlp Pichler Rolle-Berger, ma non proprio come vorrebbe la Stella alpina. Sono infatti diversi i profili del dlp 71/2010 potenzialmente problematici dal punto di vista giuridico: il concetto di uso comune dei toponimi in base alla dichiarazione etnica dei residenti nel tal comune, l'idea giuridicamente piuttosto inconsistente di memoria collettiva, soprattutto la composizione proporzionale e non paritetica della consulta, nonché l'assenza, all'interno della stessa, di esperti e tecnici: giuristi, linguisti, glottologi, che dovrebbero invece affiancare i funzionari provinciali. Durante l'audizione, il contributo di Palermo è stato senza ombra di dubbio il più interessante.

Il professore ha riferito che le diverse normative internazionali tendono alla promozione del bilinguismo nella segnaletica, anche per dimostrare a livello simbolico la presenza sul territorio di più gruppi che convivono pacificamente; a livello nazionale, invece, la normativa è poco chiara: la legge quadro 482/1999 presenta un concetto atecnico di toponomastica, ma non si applica alle autonomie speciali. Ci sono però indicazioni forti della Corte costituzionale che riguardano anche le autonomie speciali: tra le varie sentenze recenti, la più importante è la 159/2009.

«In maniera forte, quasi esagerata», la corte definisce la 482 come legge che costituisce un parametro al quale nemmeno le Regioni speciali possono derogare, afferma che non sono possibili lingue proprie regionali, e che l'ufficialità dell'italiano come lingua della Repubblica è un criterio interpretativo generale. «Quindi la normativa regionale non ha spazi per andare oltre a quanto stabilito dalla normativa nazionale», ha spiegato Palermo, anche perché la toponomastica in lingua minoritaria è permessa solo in aggiunta, e non in alternativa a quella italiana. In relazione al dlp 71/10 (Svp), Palermo ha sostenuto che segue «l'unica via tecnicamente percorribile» per disciplinare la materia, perché interviene sul residuo delle competenze provinciali in materia. «Sono minori di ciò che si pensa», visto che l'articolo 8 comma 2 dello Statuto permette in sostanza solo l'ufficializzazione della toponomastica tedesca, che però in parte è già ufficiale.

«Se si andasse oltre, si verrebbe fermati dalla Corte costituzionale». Alcuni aspetti del dlp potrebbero però risultare alquanto problematici. Palermo ha citato la mancanza di riferimenti a determinate fonti legislative riguardanti la toponomastica, come la legge quadro sulle minoranze nazionali; il criterio di uso, in merito al quale ha criticato il fatto che fosse considerato solo da parte degli abitanti del comune considerato, che magari potrebbe mancare di abitanti dell'altro gruppo linguistico, e sottolineato che la dichiarazione di appartenenza nulla ha a che fare con l'uso effettivo della lingua. Criticata anche la composizione su base proporzionale della Consulta topografica provinciale.

Palermo ha richiamato il principio di pariteticità nelle questioni etnicamente sensibili contenuto nello Statuto, e definito poi problematico il riferimento alla prima lingua, che la Consulta non apprezzerebbe, nonché il concetto di memoria collettiva, giuridicamente opinabile. Il professore, concludendo, ha aggiunto che «bilinguismo ufficiale non significa bilinguità tout court», anche se però la Corte oggi lo interpreta così, e ha infine evidenziato che «specialità significa bilateralità, ovvero che tutto si può cambiare ma solo col consenso», e che una legge come quella dell'Svp avrebbe aspetti considerati illegittimi. «Questo significherebbe «scaricare la responsabilità di scelte politiche sulle spalle dei giudici».

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