Un team di giovani contro l’autismo

Una psicologa e una pedagogista fondano un’associazione per aiutare ragazzi e famiglie



BOLZANO. Credere che l’autismo sia una forma di chiusura stagna verso l’esterno è ingenuo. Lo si scopre quando si incontrano le responsabili dell’associazione “Il Cerchio”, ma soprattutto la storia che sta alla base di questa associazione. Rispetto ad altre realtà di assistenza che nascono come lodevoli costole di qualche servizio, infatti, questa piccola organizzazione che si occupa specificatamente delle problematiche legate all’autismo è germogliata grazie all’intraprendenza di due giovani donne. Verena Isaia è pedagogista, Elena Bertoluzza psicologa ma entrambe sono ai primi passi nel mondo professionale: fattore che non le ha scoraggiate nel buttarsi in un’avventura impegnativa, difficile e senza ritorno sicuro. «Credo che questo desiderio – spiega Elena Bertoluzza – sia nato nell’istante in cui ho visto che, applicando le giuste metodologie, anche chi veniva dato per spacciato o senza speranza dimostrava, al contrario, un grande potenziale». Una crisalide sociale sottoscritta da Verena. «Il Cerchio è questo: un grande progetto da coltivare con il lavoro di squadra. Con l’aiuto, anche di tutte le persone che ci accompagnano nelle varie attività». Certo che per una famiglia scoprire di dover fare i conti con un figlio colpito da autismo non deve essere affare semplice. «Non lo è affatto e non bisogna ingannarla. Sarà dura, va detto, però non si tratta necessariamente di una condanna. Questo disturbo cognitivo ha anche dei punti di forza e sfruttando il canale visivo, dominante, si possono insegnare abilità comunicative, sociali e di autonomia a volte impensabili». Quello che forse mancava al territorio altoatesino, fino a qualche anno fa, era proprio la capacità di tessere una rete di supporto. Isaia e Bertoluzza inseguono anche questo obiettivo. «Non da sole, ovviamente. Abbiamo la fortuna di avere una buona collaborazione con Neuropsichiatria Infantile e il servizio pubblico in generale. Con altre associazioni, come la meranese Autòs, stiamo cercando di costruire quella rete che è il presupposto basilare per uno sviluppo globale della persona colpita da autismo». La sensibilità sociale, però, va allenata. «Certo, è giusto spiegare bene di cosa si tratta prima di tutto alle famiglie, ma anche alla scuola, ai docenti, ai compagni di classe senza stancarsi mai. Coinvolgere le istituzioni pubbliche e private, poi, non può che allenare. Oggi vantiamo un team multidisciplinare che ci permette di sviluppare svariati discorsi, ma alcune cose avrebbero bisogno di un sostegno esterno». Per esempio? «Per esempio un progetto curato da un’altra giovane psicologa, Sophie Gasparotti, che sta mettendo a punto un percorso di terapia accompagnata da attività ludiche e ricreative che permetta ai ragazzi di rientrare a scuola più pronti».













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