Una carriera al Massimo: ritirata la maglia di Ansoldi

L’Hockey club Merano omaggia uno dei suoi simboli, ieri giocatore e ora coach E Max si racconta: lo scudetto del ’99, gli hobby, la famiglia, la dedica ai genitori


di Simone Facchini


MERANO. Pensando di non doverla più utilizzare se non forse per qualche partita fra ex, aveva riposto la maglia da giocatore nello scatolone dei ricordi tre anni fa, per vestire i panni dell’allenatore. Sempre con la sigla Hcm appiccicata addosso, naturalmente. Perché è quasi un tatuaggio. Ora invece quella maglia, la numero 16, uscirà dall'oblio di un cassetto e sarà ritirata dalla società meranese, per onorare una carriera e il personaggio che l'ha costruita scrivendo paragrafi su paragrafi della storia del club. Lui è Massimo Ansoldi e oggi, in una cerimonia prepartita che farà anche da contesto per il lancio dell'inno societario, verrà festeggiato il Max hockeista, il Max capitano, il Max coach. Il Max amico, perché ci sarà anche un party postpartita, e sono attesi tanti amici, e non solo meranesi.

Dal pallone al disco. E pensare che aveva iniziato giocando a calcio, nel Sinigo. «Ma erano gli anni in cui ad “andare forte” era l'hockey», racconta Massimo. Lo dice parlando dalla Meranarena, ma non dal ghiaccio dove stasera guiderà le aquile nell'ultimo incontro di regular season prima di tuffarsi nei playoff della serie B vinta l'anno scorso. Max la mattina lo si trova infatti al bar del palaghiaccio che gestisce da un paio d'anni assieme al fratello minore Luca e a Kiki Timpone, altri due nomi-simbolo dell'hockey italiano.

«Dal pallone, assieme ad alcuni amici sono passato al disco». Era il 1986, anno del primo dei due scudetti dell'Hockey club Merano. Viene facile interpretarlo come un segno del destino. Perché da lì Ansoldi “senior” avrebbe cominciato la cavalcata di 696 partite giocate con la numero 16 dell’Hcm, condita da 305 gol e 308 assist. E dal secondo tricolore meranese conquistato sul campo, stagione 1998-99, da protagonista. «La maggiore soddisfazione della carriera, assieme al successo nella serie cadetta dell'anno scorso. E al mio primo gol in serie A, segnato a un “mostro” come Delfino». Già, ma con un'altra divisa, quella del Milano Saima. Perché dopo le giovanili in casa Anso fece il salto nella Milano da bere degli anni ruggenti dell'hockey ghiaccio e dei derby meneghini con i Devils. Avrebbe poi avuto il tempo anche per collezionare un altro tricolore, col Bolzano.

Famiglia e pesca. Al Penalty Box, il bar della Meranarena zeppo di cimeli hockeistici, affiora anche il Massimo fuori dal ghiaccio. A quasi quarantadue anni è papà del piccolo Marc e marito di Miriam che fra qualche mese gli regalerà un secondo erede. Racconta con passione del suo hobby della pesca. «Alla carpa – specifica –, è una pesca d'attesa e di rispetto. Le sessioni durano giorni ed è un'esperienza di contatto con la natura, una sorta di campeggio». Ha talento anche qui, tanto da essere diventato tester di un'azienda, la Carp-Zone.

Dedica. Poi un nuovo tuffo nella memoria. «Oleg Petrov il giocatore più forte con cui abbia mai giocato. L'avversario più ostico Lucio Topatigh, per lui rispetto estremo. La squadra migliore, beh, il Merano dello scudetto. Ma forse mi ha dato più gratificazioni quella dell’anno scorso: budget ridotto ma tanta grinta e un vero gruppo». Plasmato da lui. E a lui oggi è dedicata la festa. Cosa ha pensato, Max, quando gliel’hanno detto? «Il pensiero è corso ai miei genitori, scomparsi qualche anno fa. Sarebbero stati orgogliosi».

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