Valanga staccata dagli scialpinisti

La neve fresca ha ceduto al passaggio di uno dei gruppi che stavano salendo



CAMPO TURES. I voli sul Monte Nevoso non sono finiti sabato con il recupero dei corpi delle vittime. Anche nella giornata di ieri, infatti, sono stati diversi i sopralluoghi in quota per cercare di capire cosa possa essere accaduto.

A prima vista, gli uomini del soccorso alpino, già sabato, avevano individuato il punto di distacco della slavina. Il fronte della valanga, ampio 500 metri, si è aperto nell’unico piccolo “terrazzino” della salita al Monte Nevoso.

Un piccolo spiazzo pianeggiante utilizzato dagli alpinisti per togliere e mettere le pelli di foca, poco sotto la cima. L’altitudine è di circa 3.200 metri, quindi a meno di 100 metri dalla cima. La spaccatura è stata lì e la valanga ha preso forza per la particolare conformazione dei pendii. Il Monte Nevoso, infatti, è fatto a imbuto e la neve ha acquistato velocità scivolando anche sulle tante rocce.

Ieri, però, l’elicottero del servizio provinciale prevenzione valanghe dell’ufficio idrografico è tornato sul posto della tragedia per raccogliere nuovi elementi di analisi. A bordo il responsabile tecnico Fabio Gheser: «La situazione è quella di un manto nevoso che sembra perfetto con, però, una base fragile. Questo significa che anche una persona brava, esperta e competente può essere tratta in inganno. Quest'anno purtroppo lo scenario è questo fin dalle prime nevicate di gennaio».

Difficile, insomma, che i vari gruppi saliti ieri sul Monte Nevoso a 3.000 metri di quota avessero la percezione del pericolo imminente: la situazione, infatti, appariva stabile. Il grado di pericolo previsto dal bollettino delle valanghe era di livello 2 su 5.

«Si tratta di un grado troppo spesso sottovalutato. Queste valanghe rientrano perfettamente in questo tipo di valutazione perché esclude solo le grandi valanghe spontanee».

Il valore due, dunque, non rappresenta affatto un semaforo verde per escursioni a pericolo zero che, per inciso, difficilmente esistono in uno sport come l’alpinismo.

L’esclusione di valanghe autonome, però, apre un interrogativo: possibile che la slavina sul Monte Nevoso sia stata causata dalle stesse vittime?

«In tutta la Valle Aurina non c'è nessun'altra valanga osservabile sulle altre montagne – la premessa di Gheser – e questo è un elemento importante di valutazione. D’altro canto non posso già fare una perizia sicura, ma tutto mi fa pensare che anche queste persone facciano parte di quel 90% di vittime della montagna che rimangono uccise da una valanga che loro stesse hanno provocato».

La tragedia dell'altro giorno, però, ha messo in luce anche un altro fenomeno che può diventare un problema: il gran numero di appassionati. «Tutti gli sport di questo settore stanno conoscendo un incremento di praticanti. Lo scialpinismo è tra questi. Va detto, però, che gruppi diversi che si muovono in maniera scordinata possono determinare interferenze ed errori di comportamento. Non conosco esattamente gli spostamenti di sabato, ma le analisi sul manto mi portano a questo tipo di conclusione. La debolezza basale della neve porta con sé un alto potenziale di pericolo se si stacca qualcosa. In mezzo al flusso di questa valanga specifica, infine, c'è una zona di rocce dove la slavina accelera e chiunque può andare a sbattere contro un sasso riportando traumi gravi o mortali». Concorde l’analisi dell’esperto dell’Alpenverein Matthias Hofer. «Si è trattato del fenomeno delle neve vecchia presente anche nel bollettino. La valanga è stata generata dal sovraccarico sui pendii mentre il taglio è arrivato con il passaggio di sci e pelli di foca degli scialpinisti».

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