Via Torino, chiude la storica corniciaia «Colpa della crisi» 

Dopo 44 anni di lavoro Rita Cacciatore se ne va in pensione La più bella soddisfazione: «Aver incorniciato un Picasso»


di Davide Pasquali


BOLZANO. Avrebbe anche potuto continuare, perché non riesce a stare con le mani in mano. Invece ha deciso di chiudere, fra il rammarico degli affezionati clienti del rione e dell’intera città. Ma la morte del marito, tre mesi fa, l’ha provata. È Rita Cacciatore, la storica corniciaia di via Torino. Se ne va in pensione dopo 44 anni di lavoro, gli ultimi 27 dei quali trascorsi nel medesimo negozio, a metà via sulla destra, sul fronte strada dei condomìni operai degli anni Trenta. Prima, stava dietro La Casalinga. Prima ancora, da apprendista, in piazza Adriano. Il suo non è semplicemente uno dei tanti, troppi negozi di vicinato che abbassano la serranda per sempre. Lo si capisce entrando: a terra, apparentemente accatastati alla rinfusa, tele, acquerelli, stampe. Ricordi di una vita: dipinti e ritratti regalati da clienti artisti affezionati, quadri dimenticati da clienti sbadati, quadri in attesa di esser ritirati. Arrivò a Bolzano da Santa Maria di Leuca, Rita. Una «terrona», come si definisce lei stessa ridendosela di gusto; la medesima tecnica adottata allora per stemperare più di qualche difficoltà iniziale con i bolzanini sedicenti doc. Venne a Bolzano per un matrimonio, ma alla festa conobbe Fabio Marotto e fu il patatrac: nozze, figlia. Figlia che, con orgoglio malcelato, mamma Rita racconta essersi laureata in storia dell’arte «senza che io l’abbia mai spinta». A contare fu soprattutto l’aria respirata in casa e in laboratorio, dove Giorgia venne portata fin da piccolissima. Rita in Puglia era falegname. A Bolzano cominciò a lavorare all’A&O dei Podini in via Palermo, poi tentò il salto ed entrò a bottega da un vetraio. «Al terzo giorno di prova mi assunse, ci sapevo fare, non avevo paura di usare i grandi macchinari». Imparato il mestiere, si mise in proprio. Da raccontare ne avrebbe a iosa; inizia, ma poi subito si rabbuia. Perché il marito Fabio se n’è andato lo scorso ottobre, all’improvviso. «Un infarto», che si è portato via il grande sportivo bolzanino, pallavolista, hockeysta, pioniere delle freccette, vicepresidente nazionale Fidart. E allora Rita ha deciso: si chiude, perché una stagione è finita. C’entra poco l’affitto non proprio irrisorio pagato all’Ipes; non sputa nel piatto in cui ha mangiato per 27 anni, Rita. Preferisce raccontare che prima di lei, nel negozio, si vendeva carne. Il laboratorio nel retro era la macelleria. Con soffitti così alti e finestre tanto vecchie che poco dopo aver pulito già si riformavano le ragnatele. Assai amate da più di qualche artista, che veniva a vederle per ispirarsi. Ha incorniciato di tutto, Rita. «Quadri orrendi, ma pagati una follia perché sopra c’era una certa firma». Ma anche vere e proprie opere d’arte, come i disegni dei bimbi di tre anni, «gli unici a saper abbinare i colori in modo così sapiente». Clienti? Ne ha avuti di tutti i generi, dai meno abbienti del rione popolare ai veri collezionisti d’arte, che, svela senza far nomi, «da noi sono tutti tedeschi». Collezionisti intesi come quelli che se ne intendono davvero, non in quanto sanno spendere. Perché, spiega Rita in un distillato di esperienza solo apparentemente scontato, «l’amore per l’arte devi avercelo dentro, con i soldi non si compra». I soldi, però, servono per comprar quadri e incorniciarli. E se c’è la crisi... Rita è generosa. Anche se non ti conosce ma capisce che ne capisci, facile ti regali una tela. Ora vorrebbe donare la sua esperienza al mondo del volontariato. Magari qualche lavoretto ancora lo farà, per gli amici. Ricordando quando, con mani tremanti, anni fa, incorniciò un Picasso. «Originale». Ma non chiedetele a chi appartenga. Non vi dirà mai in quale casa di Bolzano stia appeso.













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