Covid, al rifugio Bicchiere si mangerà nella cappella 

A oltre 3 mila metri di quota. Il gestore Erich Pichler allestirà una seconda sala pranzo «Sarà la mia 20esima e ultima stagione. Volevo finire in bellezza e riaprire ad ogni costo» 


stefan wallisch


Val ridanna. Inaugurato il 16 agosto 1894, in occasione del compleanno dell'imperatrice Sissi, il rifugio Gino Biasi al Bicchiere in 125 anni di attività ha subito alcuni stop per guerre e terrorismo sudtirolese oppure semplicemente per colpa della neve. Il coronavirus non ferma invece l'attività sul Becherhaus, questo il nome tedesco del rifugio a oltre 3.100 metri di quota sulla creste di confine, sopra la val Ridanna. Per rispettare il distanziamento sociale il gestore Erich Pichler allestirà una seconda sala pranzo nella cappella, la più alta in Europa ad essere intitolata alla Madonna. «Questa - racconta Pichler - sarà la mia 20esima e ultima stagione, nessuno mai ha gestito il rifugio tanto a lungo. Volevo finire in bellezza e riaprire a ogni costo, anche se le spese per le misure anti-Covid sono davvero tante». I pannelli in plexiglas per i tavoli e i dispenser sono già stati imballati e sono pronti per essere portati in quota dall'elicottero. A causa della carenza di ossigeno a oltre tremila metri di quota il personale non può usare le mascherine Ffp2, ma indosserà normale mascherine e visiere protettive. «Il Bicchiere è un rifugio alpino nel vero senso della parola, garantisce riparo ad alpinisti. Aprire in un certo senso è un dovere morale, anche se i clienti quest'anno saranno pochissimi», spiega il 59enne. Le probabilità di essere contagiato qui - secondo lui - sono pari a zero. «Solo chi è in forma e sano come un pesce può affrontare le sette ore di cammino e i 2.000 metri di dislivello», fa presente il gestore. Anche a Passo dello Stelvio la Fase 2 viene affrontata con spirito d'iniziativa. Qui a 2.757 metri si arriva comodamente in macchina, o meglio ancora in bicicletta. Più di una volta sui 48 mitici tornanti è stato deciso chi avrebbe portato la maglia rosa a Milano. «Abbiamo una clientela internazionale e attualmente c'è ancora tanta incertezza per la riapertura delle frontiere», racconta Christian Thoma, titolare del rifugio Tibet. Il distanziamento non è un problema grazie agli ampi spazi all'interno, come anche all'esterno. «Lavorare con il Covid è una sfida. Si diceva che non sarebbe sopravvissuto al caldo, ora vediamo se sopravvive a 3.000 metri», commenta Thoma. Allo Stelvio preoccupa comunque la situazione in Lombardia. Secondo il presidente degli albergatori altoatesini Manfred Pinzger, «il versante altoatesino del passo va comunque aperto al più presto. In Alto Adige l'andamento epidemiologico da settimane è molto positivo». A 3.000 metri di quota la stagione dura solo pochi mesi ed eventuali ritardi sono difficili da recuperare.

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