Bressanone

Il commercio in rosso: «Perso fra il 30 e il 60 per cento» 

Conseguenze del Covid, parla il fiduciario dell’Unione Turismo e Servizi di Bressanone Hans Peter Federer: «Il 2020 un anno disastroso: è andata male alle attività in centro, peggio a quelle fuori città»


Fabio De Villa


BRESSANONE. Un anno di Covid a Bressanone ha portato una perdita economica che commercianti ed esercenti quantificano tra il 30 e il 60% del fatturato a seconda della categoria. Percentuale che addirittura salgono per le attività con sede fuori dal centro. I dati arrivano dal fiduciario dell’Unione Turismo e Servizi di Bressanone Hans Peter Federer, che fa il punto della situazione.

“Il 2020 ha portato crisi e danni – premette Federer - Anche se alcune categorie hanno potuto lavorare più di altre, qualcuno proprio non è riuscito a lavorare. I bilanci alla fine dipendono moltissimo dalla tipologia di esercizio e anche dal fatto di gestire l’attività in centro o fuori Bressanone”.

A chi è andata peggio?

“Sicuramente a chi lavora nelle valli e nelle zone un po’ più isolate e meno facili da raggiungere, in particolare con le restrizioni dettate per gli spostamenti. È andata un po’ meglio nei grandi centri abitati”.

E i bilanci a livello di settori?

“Il settore degli alimentari è quello che ha avuto meno danni di tutti gli altri, si tratt adi un rilievo valido a livello nazionale e già ampiamente sottolineato. I negozi di generi alimentari sono sempre stati aperti per garantire a tutti la possibilità di fare la spesa ogni giorno. Un’altra categoria che bene o male se l’è cavata è quella dei negozi di articoli sportivi, ma anche qui c’è da fare una precisa differenza.

Sì, perché se a Bressanone gli affari non sono mancati, la stessa cosa non si può certo dire per chi ha l’attività fuori città. Situazione analoga per i negozi che vendono abbigliamento per bambini: anche qui i provvedimenti hanno permesso ai titolari di lavorare quando gli altri negozi erano in gran parte chiusi, ma, nonostante questo, chi si è salvato economicamente in questi terribili dodici mesi è stato solo chi ha la propria attività in un centro cittadino. Ancora una volta, nelle valli il danno è stato maggiore”.

E tutti gli altri?

“La maggior parte dei negozi che sono rientrati nei provvedimenti di chiusura in quest’ultimo anno è rimasta inattiva per quasi 4 mesi con un danno ancora oggi incalcolabile. Durante il lockdown di primavera, capitato nel momento in cui si lavora abitualmente di più, si è sentita la mancanza improvvisa e imprevista dei turisti, in particolare quelli dalla Germania”.

Parliamo di numeri.

“Per dare un’idea del danno nel nostro settore, quello del commercio a Bressanone e nelle zone limitrofe con 300 attività presenti sul territorio, nel 2020 un negoziante ha perso tra il 30 e il 60%, a seconda del tipo di attività. Fra le categorie che hanno potuto lavorare un po’ di più per le eccezioni previste dai decreti governativi, il danno si è attestato sul 30% circa per chi ha la sua attività a Bressanone, mentre la percentuale cresce, e anche di molto, per chi invece lavora nelle valli e zone limitrofe”.

Cosa chiedete alla politica?

“La politica ora deve valutare bene le conseguenze dell’emergenza sul nostro settore. Nei prossimi mesi inizieranno i licenziamenti, al momento bloccati, e i bilanci vireranno ancora di più verso il rosso. Bisogna decidere: pensare a eventuali nuovi stop preventivi al commercio e all’economia o trovare un compromesso per permettere a tutti di poter riprendere a lavorare”.

 













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