«La sede dell’Apt? Aria fresca» 

Scagnol difende il progetto e guarda oltre: «Tutta la parte nord-ovest della città sarebbe da rifare»


di Luca Masiello


BRESSANONE. «È un cucciolo che cammina su degli archi e si accuccia all’ombra del platano. Lo so, ad alcuni può sembrare bizzarro, ma che cosa avranno pensato i brissinesi quando hanno visto spuntare un padiglione cinese nel giardino del palazzo vescovile?» Matteo Scagnol parla dei suoi progetti architettonici con tenerezza, come un padre dei suoi piccoli, e descrive la sua città come un parco all’interno del quale i suoi bambini possono nascere, crescere e migliorarla. E da quando si sono stabiliti a Bressanone, lui e la sua partner Sandy Attia hanno visto nascere molte di queste loro creature, fra cui la sede dell’Apt, che verrà completata per gennaio.

Architetto Scagnol, intervenire su un edificio di Barth è una bella responsabilità…

«Lo è, infatti: Barth è considerato a ragione uno degli architetti più importanti dell’Alto Adige. Ma in questi casi l’architetto è come un assassino, che uccide un’opera per poi riesumarla, donarle nuovamente la vita per renderla moderna e funzionale alle esigenze di oggi. Noi siamo gli “omicidi” dell’opera di Barth, ma anche lui al suo tempo si era macchiato dello stesso crimine: nel Ventennio lì c’era un padiglione, e nel dopoguerra lui lo ha”ucciso” per trasformarlo in quell’edificio che tutti conosciamo».

Certi brissinesi non sembrano entusiasti, dicono che la nuova sede è troppo avvenieristica e rovina il panorama sul palazzo vescovile…

«Li capisco: visto così, ancora in cantiere, può sembrare un palazzo “strambo”, soprattutto se non si conosce il concetto che c’è dietro: è una novità, e le novità suscitano sempre sentimenti contrastanti. Ma non è vero che stona con la storica struttura, anzi, abbiamo voluto creare una continuità con il palazzo vescovile, che rimane protagonista del paesaggio, e le linee curve del suo tetto richiamano il padiglione giapponese; è un edificio dal carattere forte ma leggero, che sfida quasi il concetto di gravità poggiandosi su archi che echeggiano ai portici della città. Abbiamo poi creato una piazzetta all’ombra di quel platano al quale non volevamo rinunciare: lì questa creatura si appoggia, e con essa le persone che trovano sotto questa pianta un luogo di aggregazione».

Certo, però, non è un edificio “tradizionale”..

«Forse no, ma cosa lo è? Lo era forse il padiglione giapponese, concepito come un divertissement? Molte strutture sono risultate strane sulle prime, ma poi sono entrate nel nostro scenario e sono diventate normali. E credo che ai brissinesi faccia bene vedere qualcosa di nuovo…».

Come vede la Bressanone del futuro?

«Negli ultimi anni ci si è concentrati sulla parte nordest della città. È stata ripensata tutta l’area ex Damiani ed è stata trasformata nel piazzale Priel. Ma tutta la parte nord-ovest sarebbe da rifare: via Brennero, con le ex case dei militari, il palazzone Telecom, via Roma e l’angolo con i Bastioni Minori sono relitti di un’epoca che stona con le esigenze ed i gusti di oggi. Il potenziale è infinito, c’è bisogno di una visione, ma anche del budget...».

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