«Mi ha aggredito una persona malata» 

Parla Wilma Huber, contraria alle strumentalizzazioni. «Salvini? Voleva sbandierare la presunta efficacia del suo decreto» 


di Luca Masiello


BRESSANONE. In caserma lo chiamano “bambino”: anche se è un ragazzotto di quasi vent’anni si comporta proprio come un infante, fa i dispetti agli altri, a volte cerca la lite e poi piagnucola, quando qualche altro ospite esasperato risponde alle sue provocazioni. Questo soprattutto quando l’effetto delle iniezioni di psicofarmaci che gli fanno ogni due settimane inizia a svanire. E venerdì scorso pare proprio che i medicinali non scorressero più nelle sue vene, quando ha iniziato a seguire e poi a cercare di abbracciare Wilma Huber, la coordinatrice della Spes che ancora guida l’ex caserma Schenoni a Bressanone, dove sono ospitati 60 richiedenti asilo. Ne è nata una colluttazione, poi la coordinatrice, che tutti chiamano con rispetto “capo”, ha deciso di richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. «Ho chiamato i carabinieri perché non lo voglio più assieme a noi: è una persona malata che deve essere seguita, non può vivere a contatto con gli altri ospiti e rovinare il lavoro di tutti».

Dottoressa Huber, come si sono svolti i fatti?

«Era venerdì, e il ragazzo dava segni di squilibrio, come spesso succede quando l’effetto dell’iniezione sta per svanire. Continuava a dare fastidio agli altri ospiti, poi ha preso di mira me; ha iniziato a seguirmi, poi mi ha toccato un braccio: tutti sanno che è severamente vietato toccarmi, così l’ho spinto via. Non voleva saperne di andarsene, e quando mi ha trovato accanto a un muro mi ha toccato i fianchi: l’ho spinto via e gli ho dato un pugno. Si è avvicinato nuovamente, mi ha toccato all’altezza del seno e gli ho dato una ginocchiata. Poi ho richiesto l’aiuto delle forze dell’ordine».

Quando sono arrivati i carabinieri cosa è successo?

«Alla vista delle divise ha dato in escandescenza, i militari hanno faticato parecchio per tentare di calmarlo, poi è arrivata un’ambulanza e l’hanno portato all’ospedale. I medici lo hanno sedato e poi è tornato alla Schenoni, ma io avevo già messo da parte le sue cose per cacciarlo dalla struttura. Lui però non voleva andarsene, non capiva il motivo per cui non poteva più stare con noi. Diceva di non ricordare nulla, e continuava a ripetere “io sono un bambino…”».

È pericoloso?

«Non è pericoloso, ma non è in grado di vivere in una comunità, soprattutto qui da noi, dove tutti lavorano per creare un futuro migliore e si devono rispettare alla lettera delle regole. È malato, ogni due settimane devono fargli un’iniezione per sedarlo, ha il quoziente intellettivo di un ragazzino, ed è così che si comporta. Io non lo voglio alla Schenoni, perché la sua patologia influisce negativamente sull’umore e sulla disciplina della struttura. Ci sono altri centri, in Alto Adige, con personale adatto a seguire casi come il suo: è lì che dovrebbe stare».

Come giudica il post del ministro Salvini sull’accaduto?

«La legge dice che anche solo un palpeggiamento rientra nella categoria della violenza sessuale. Ma Salvini non parla la lingua giuridica, non capisce la differenza, e allora ha lanciato il suo post in cui dice che avrebbe “violentato la responsabile del centro”. C’è una bella differenza, ma voleva sbandierare la presunta efficacia del decreto sicurezza appena entrato in vigore».

E dei commenti che hanno invaso i social?

«Domenica sera mi sono letta 1053 commenti. Tralasciando quelli volgari, molti di questi mi definiscono una “buonista in maglietta rossa”, altri dicono che me la sono andata a cercare, altri ancora che io vivo rubando i 35 euro pagati dagli onesti cittadini. Queste persone non si rendono conto di quello che accade alla Schenoni: qui vige l’ordine e la disciplina, i richiedenti asilo lavorano duro per cercare di integrarsi, seguono le regole e si comportano di conseguenza. Chi non le rispetta è fuori, al freddo. Noi non difendiamo i criminali: chi si comporta bene ha tutto il nostro aiuto, chi viene qui per delinquere può tornarsene da dove è venuto. Se chiudiamo i Centri la situazione non si risolve: queste persone ci sono, quindi cerchiamo di fare in modo che si integrino. I richiedenti asilo l’hanno capito, e i primi risultati ci sono».

Quali, per esempio?

«Qualche giorno fa uno dei nostri ospiti ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato ed ha lasciato il centro per andare a vivere da solo; fra una settimana ci lascerà un altro richiedente asilo: il suo datore di lavoro è così soddisfatto di lui che gli ha offerto un appartamento. I dati parlano chiaro, in Alto Adige l’85% dei richiedenti asilo ha un lavoro: l’indice di disoccupazione nei centri è addirittura più basso che nel resto d’Italia».

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