Un tuffo nel ‘75 «Che festa al bar Alpino» 

Le testimonianze. A fine anni Sessanta l’arrivo massiccio dei militari Marco Zanarotto ricorda i tempi del locale di famiglia, vero ritrovo di chi viveva in città o tornava dall’università, come Maurizio Todesco «Con l’apertura delle frontiere quegli anni meravigliosi sono volati via»


Sara Martinello


Vipiteno. I genitori, in alcuni casi i nonni, erano arrivati a Vipiteno prima della guerra, quando ancora era difficile parlare di una vera e propria comunità di lingua italiana. La generazione del boom economico invece aveva dalla sua una novità: con l’attività di associazioni come Ana, Cai e Polisportiva e col progressivo infittirsi di un tessuto sociale sempre più puntellato di personalità emergenti, dall’economia cittadina alla politica, ormai poteva sentirsi di appartenere davvero al posto dov’era nata. Così, quando verso la fine degli anni Sessanta i militari arrivarono in massa quassù al confine, fiorì una vita sociale che fino agli anni Novanta rese caro questo posto a chi lo abitava e a chi lo attraversava.

L’arrivo dei militari.

Incontro Marco Zanarotto nel suo bar, il Teatro, nel complesso dove ogni anno Walter Zambaldi porta le meraviglie del Teatro Stabile di Bolzano. C’è anche il suo amico Maurizio Todesco, che in questi giorni di ricerche mi fa da cicerone. Sono gli ultimi giorni prima che il presidente Arno Kompatscher nomini la provincia zona rossa ma nel locale gli avventori non sono molti, segno di una socialità intaccata non solo dal legittimo timore del contagio, ma soprattutto da una propensione all’incontro affogata nei ritmi di vita (di lavoro) del capitale. Mica come negli anni Settanta, quando al bar Alpino il finesettimana era una festa.

La famiglia Zanarotto arrivò in val Ridanna da Castagnaro nel 1940 («Prima della guerra nel Veronese non c’era niente, giusto da andare in miniera»). Bruno Zanarotto, il padre di Marco, nel 1964 si trasferì a Vipiteno per aprire il bar dei Combattenti, che poi assunse il nome di “bar Alpino”, chiuso nel 2013 dopo 49 anni di indiscusso dominio della scena vipitenese. Fino al 1970 gli Zanarotto erano stati proprietari del maso Simeler, con Bruno che nel tempo arrivò a gestire il rifugio Cima Libera e il Bicchiere.

Marco cominciò a lavorare al bar nel ‘74. Maurizio sorride, sono i ricordi dell’età più spensierata: «Coi panini di Marco o con quelli del bar della famiglia Rossi ci siamo cresciuti». E non solo loro. Ai responsabili del progetto editoriale “Vipitenesi. Storia di una comunità dalle origini al dopoguerra”, di Caterina Fantoni, Riccardo Rombolo ha raccontato della propria vita di militare a Vipiteno. La caserma aperta alla popolazione civile negli anni Cinquanta, il biliardo all’albergo Rosa, i balli in divisa al bar sport (il Marion). «Un altro punto di ritrovo, soprattutto per gli uomini, era il bar Alpino. Gli ufficiali stavano qui pochi anni e poi si spostavano, però fintanto che erano qui c’erano un spirito e una coesione che adesso non ci sono più», dice.

Che festa, quegli anni.

Marco forse alla prevalenza maschile non ci faceva troppo caso, perché mi parla di una clientela «soprattutto italiana, saranno stati il 90 per cento». Ricorda entusiasta altre cose. «Si giocava a carte, a biliardo, c’era il juke-box. A quei tempi facevamo le gare di sci con l’Ana e partite di calcio incredibili, c’inventavamo le squadre dalle classiche scapoli-ammogliati a quelle più estrose. Era pieno di militari di leva dal Bresciano e dal Bergamasco, uscivano e spendevano tanto. Specialmente nelle pizzerie. Quante pizzerie! Una in ogni strada, Vipiteno era piena». Intanto Maurizio, studente universitario alla Cattolica, ogni finesettimana faceva su e giù da Milano per recuperare gli affetti lasciati qui, in Alta Valle Isarco. Per me che da Padova tornavo ogni mese e mezzo, una faticaccia. Maurizio ride: «Se nasci a Vipiteno sai che la distanza è relativa. Avevamo voglia di fare, di ritrovarci tutti insieme. Nel ‘91 fondammo l’associazione giovanile Juvenilia, facevamo tante cose, dai concerti alle conferenze. È stato naturale per la mia generazione sviluppare un attaccamento alla nostra città». Lo stesso affetto che ritroverò nelle parole del vicesindaco Fabio Cola, 34 anni, anche lui coinvolto insieme a sua madre Graziana Crestani nella redazione del libro dei vipitenesi.

La partenza dei militari.

Alla floridità di quegli anni si è sostituita un’aria di tranquilla cittadina di provincia. Così Marco: «Gli uffici doganali e le case di spedizione avevano creato centinaia di posti di lavoro. Con Schengen e con l’abolizione dell’obbligo di leva quegli anni così vivi sono finiti. Solo nelle caserme oggi ci vivono centinaia di persone di lingua italiana, ma le vedi a messa, l’interazione non è più quella di una volta». Nel volume di Fantoni troviamo la voce di Italia Mosele, a raccontare del bar Sole, in piazza Mitra, gestito da lei e dai suoi genitori vicentini fino al ‘75. «Quando c’erano i militari di leva c’era un gran giro, lavoravamo bene, poi c’erano anche i genitori che venivano a trovarli, gli alberghi lavoravano tutto l’anno. Adesso che i militari di professione sono qua con le famiglie non vanno più tanto in giro, è diverso».

Insomma, i militari se ne vanno. Maurizio mi dice degli arrivi più recenti, i “profili alti”, gli ingegneri di altre zone d’Italia attratti qui con le famiglie dalla Leitner. Intanto – si parla degli ultimi quarant’anni – nel discorso politico si è fatta sempre più forte l’istanza della convivenza tra gruppi linguistici, i matrimoni “misti” non sono più eccezioni, si fa l’università a Bologna come a Vienna. «La generazione di mio padre voleva che i figli studiassero e che mangiassero, la mia vuole che studino e che diventino perfettamente bilingui», conclude Marco. Sul piano politico, Maurizio: «Se vieni da fuori e sentenzi che “Siamo in Italia, parliamo italiano” non hai capito nulla di questa terra».













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