Una donna al vertice del Consorzio 

La testimonianza. La storia di Luigina Masera, nata in Vallagarina da una famiglia di commercianti e arrivata in Alto Adige negli anni Quaranta Raggiunta l’Alta Valle Isarco nel 1952, divenne gestrice dell’ente e dal 1979 mandò avanti il negozio di alimentari di via Città Nuova


Sara Martinello


Vipiteno. Di tabù infranti ce ne sono, nel libro dei vipitenesi. Vengono a galla dopo decenni, il ricordo modellato sulle progressive conquiste femministe diventa consapevolezza di una resistenza viva da settanta, cento, mille anni. Eravamo streghe, eravamo serve, regine, impiegate, insegnanti, contadine, commercianti. Ribelli all’amore romantico: «Era un amore un po’ disperato e io non avevo voglia di impegnarmi... Disse che se non l’avessi voluto sposare sarebbe andato con i paracadutisti, io gli ho detto: “Vai”. Quelle cose lì, amorose, mi piacevano, ma le ho sempre messe in secondo piano». Sono le parole che più mi colpiscono, di quel che Luigina Masera Kaswalder ha detto alla sua nipote Caterina Fantoni una decina di anni fa, prima di scomparire nel 2015 dopo una vita coraggiosa tra Rovereto, Monguelfo, Vandoies e Vipiteno.

Da Rovereto all’Alta Pusteria.

Luigina Masera nasce nel 1915 a Calliano, borgo della Vallagarina, in un’agiata famiglia di commercianti di vini. «L’uva la pigiavamo anche io e mio fratello Carlo – racconterà a Caterina novant’anni più tardi –. Tornavamo da scuola, ci levavamo calze e scarpe e pigiavamo nel nostro tino». Marzemino, Schiava e Teroldego, ma pure due alberi di mele, le prugne, i gelsi e due stanzoni con le arelle coi bachi da seta: «In paese c’era una grande filanda e venivano tante ragazze da Besenello, da Nomi, da Calliano, e noi vendevamo i bachi».

Ma è nata nella guerra, e della guerra conserva il ricordo, con la grande casa di famiglia sequestrata dall’esercito austroungarico per farne un ospedale da campo, lo zio Vittorio morto sull’Isonzo diciassettenne, a riposare in una tomba vuota al cimitero. Massimino, suo padre, a soffrire la fame in Romania. Della scuola ricorda una domanda della maestra, «Siamo in Italia o in Austria?». Il padre, filoaustriaco con studi a Lienz, alla conoscenza del tedesco ci tiene. Tanto che Luigina più avanti riconoscerà in questa competenza un valido aiuto per gli anni di Monguelfo.

Il lavoro a Monguelfo.

Nel 1940, infatti, Massimino Masera nota un annuncio nel quotidiano “Il Popolo”. Si cerca un direttore per il Consorzio agrario di Monguelfo. È l’occasione per mettere a frutto le sue capacità imprenditoriali e lasciarsi alle spalle la miseria degli anni Trenta, che si è abbattuta come una scure pure sulla sua famiglia. Arrivati a Monguelfo, il primo compito di Augusta Conci, madre di Luigina, è di cucire per il marito una camicia nera. «Però non la metteva volentieri, lui la domenica poi andava a giocare a Watten con gli altri paesani “tedeschi”», racconterà Luigina a Caterina. Sono gli anni delle opzioni: «In val di Casies – il ricordo di Luigina – avevano optato quasi tutti per l’Italia, erano benestanti e intendevano tenersi le loro proprietà». Diplomata alle scuole commerciali di Trento, per Luigina cominciano anni di lavoro: «Nel pomeriggio dovevo andare in bicicletta nei singoli masi a offrire i prodotti del Consorzio. Facevo anche la strada da Monguelfo a Brunico in bicicletta, una volta alla settimana, a consegnare i contanti al consorzio locale e a prendere le prenotazioni della merce. Arrivavo a Perca che avevo una sete tremenda, rubavo una rapa dal campo e me la mangiavo. Dall’altra parte della strada c’era un bar ma io non avevo soldi, neanche per un caffè. Con la bicicletta dovevo anche andare a Villabassa a prendere le forme di formaggio per portarle alla cucina dei militari, perché a Monguelfo stavano costruendo la caserma degli alpini». Gli inizi sono duri, Luigina si sforza di esprimersi al meglio in tedesco perché è quella la lingua dei clienti. Sua madre, con quel fratello irredentista, in tedesco non pronuncia una parola, così Massimino in negozio fa lavorare la figlia.

Da Monguelfo a Vandoies.

A Luigina il pretendente che il direttore del Consorzio di Brunico le ha trovato non interessa per niente. Francesco, l’artista in uniforme che “o con Luigina, o coi paracadutisti”, sembra un amore disperato. Si sposa con un altro Francesco, Kaswalder il suo cognome. Nel 1942 ormai l’eco delle capacità imprenditoriali di Luigina è arrivata anche a Bolzano – oltre settanta le motofalciatrici vendute nel giro di poco tempo in val Casies – e il direttore del Consorzio agrario del capoluogo le propone la gestione dell’affiliata di Vandoies. Con Francesco si è sposata nel ‘41 durante un periodo di licenza militare, ma lui dalla Jugoslavia tornerà due anni più tardi. Luigina però non ci pensa due volte e coglie quell’opportunità inaspettata, un attestato di stima per una donna di soli 27 anni. Alla nipote Caterina, molti anni più tardi, spiegherà che «non è stato facile, ma io mi adattavo. Rinunciavo. E anche se con fatica, perché in fondo ero una Walsche, mi sono integrata bene. Mi sono introdotta nell’attività con due apprendisti e in sei anni sono riuscita a pagare tutto l’inventario, avanzando pure qualcosa».

Finalmente a Vipiteno.

Nel frattempo il marito è tornato dalla guerra e sono nati tre bambini: Franca, Alberto (sarà presidente del Cai altoatesino) e Carla. Quando Franca conclude le elementari, però, la famiglia decide di trasferirsi in un posto dove ci siano anche le scuole medie, magari pure le superiori. A Vipiteno medie, ginnasio e liceo ci sono. Nel 1952 prendono alloggio in una dependance dell’hotel Posta Vecchia, l’ex Greif, sede dell’Aderst durante il periodo delle opzioni acquisita dall’Entv nel ‘45 e poi bruciato in un incendio. La coppia fa ristrutturare parte dell’edificio e prende in gestione il Consorzio agrario del capoluogo dell’Alta Valle Isarco. «Tra i due era sicuramente mia nonna l’anima intraprendente», mi dice oggi Caterina, sedute davanti a un caffè in via Città Nuova. La stessa strada del negozio di alimentari che Luigina, vedova nel 1979, manderà avanti fino al 1987. Lascerà la famiglia nel 2015, pochi mesi dopo il suo centesimo compleanno. Cent’anni vissuti in salute, col coraggio di chi costruisce da sé il proprio cammino.













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