La testimonianza

«In fin di vita col Covid: salvo grazie ai medici» 

Luca Avesani, il calvario e la rinascita. Agente della polizia locale, si è ammalato in ferie. Portato a Bolzano, è stato intubato: «Ero in condizioni disperate, mi ha salvato una tracheotomia»


Bruno Canali


LAIVES. Da Laives all’inferno del Covid e ritorno. Per Luca Avesani, cinquant’anni, conosciutissimo a Laives dove è membro della locale polizia municipale, è stato un calvario durato più di due mesi e mezzo.

Adesso è tornato a casa ma la riabilitazione sarà lunga perché durante la fase acuta dell’infezione ha rischiato veramente di non farcela. Luca Avesani spiega subito che lui non è mai stato anti-vax, solo che, per somma sfortuna, il virus lo ha colpito qualche settimana prima che facesse la prima dose di vaccino, a maggio.

“Come forze dell’ordine ai primi di maggio era previsto l’inizio delle vaccinazioni – dice – e io però, avevo già prenotato una settimana di ferie a partire dal primo maggio. Prima di partire ho fatto due tamponi, entrambi risultati negativi e così sono partito con alcuni amici alla volta della Croazia, per qualche giorno in barca”.

Quando ha iniziato ad avvertire i primi sintomi di malessere?

“Arrivati in Croazia, ricordo che sabato e domenica eravamo in mare con la barca, io e altri quattro miei amici. Domenica sera ho iniziato a sentire i primi sintomi. Il lunedì la febbre è salita rapidamente e lì per lì ho pensato ad una insolazione. Avevo fatto due tamponi qualche giorno prima ed ero convinto perciò che non poteva essere Covid, che magari era qualcosa di passeggero. Il martedì la situazione non cambiava e così siamo andati in un ospedale della zona. Lì mi hanno fatto il tampone e sono risultato positivo. Non saprei dove l’ho preso, probabilmente durante accertamenti di lavoro. Nessuno dei quattro amici è risultato positivo”.

È stato l’inizio di un calvario, oltre tutto in ferie, lontano dall’Italia.

“Sono convinto che se fossi rimasto lì oggi non sarei qui a raccontarlo. Fortunatamente il padre di uno dei miei amici è socio nelle ambulanze a Bolzano e mi ha subito detto che sarebbe stato meglio essere ricoverati in Italia. È grazie a lui se da Bolzano mi hanno mandato un’ambulanza a prelevarmi. Ho fatto un viaggio di 12 ore attaccato all’ossigeno”.

Arrivato all’ospedale di Bolzano, cosa è successo?

“Mi hanno subito fatto un tampone e prelievi di sangue che hanno confermato la positività al Covid. Subito mi hanno messo l’ossigeno e, dopo tre giorni, visto che al situazione peggiorava, con un polmone oramai fuori uso, mi hanno detto che dovevano intubarmi perché nemmeno l’ossigeno bastava più. Confesso che lì ho pianto e ho pensato al peggio. Da quel momento in poi però non ricordo più nulla perché mi hanno sedato”.

Quasi un mese sedato e intubato, un “buco” nero, letteralmente “scaraventato” in un’altra dimensione.

“Proprio così, so solamente che i sanitari ad un certo punto avevano chiamato la mia ex moglie perché disperavano che potessi superare la notte, perché il Covid aveva compromesso la funzionalità anche dell’altro polmone e a quel punto si parlava di trapianto”.

Invece è riuscito a superare la crisi peggiore.

“Sì e devo tutto ai medici i quali mi hanno fatto una tracheotomia che mi ha salvato la vita. Da lì in avanti ho iniziato a stare un po’ meglio: vedevo il viavai di sanitari attorno ma non riuscivo a parlare e non potevo muovermi. Mi hanno raccontato poi che mi mettevano ore a pancia in giù nel letto e poi ore a pancia in su. Avevo il naso schiacciato a forza di stare faccia in giù (ride). Sono trascorsi così due mesi e mezzo di ospedale. Tutto il personale, dai medici agli infermieri, tutti veramente sono stati fantastici e non finirò mai di ringraziarli. Sono anche stato fortunato, perché in quel periodo in rianimazione c’ero solo io e tutti si sono dedicati a me, anche quando ho passato le due notti durante le quali ho rischiato la vita”.

Passata la fase critica dell’infezione comunque non è che l’hanno dimessa immediatamente.

“Eh, magari: dalla rianimazione sono passato al reparto riabilitazione, dove un poco alla volta ho iniziato a mettere i piedi a terra e muovere qualche passo. Quindi ho potuto mangiare qualche omogeneizzato e delle pappette dopo due mesi di sondino. Dopo un mese di riabilitazione stavo sulle mie gambe e mangiavo da solo, ma sarà ancora lunga. Ai primi di ottobre farò il vaccino, anche per tranquillità”.













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