L’intervista

Martha Stocker: «La mia crociata contro il gioco d’azzardo»

L’ex assessora provinciale, 70 anni ad aprile. «La ludopatia è una piaga sociale». Il Cammino di Santiago, la passione per le lingue, il volontariato con i ragazzi disabili 


Massimiliano Bona


PUSTERIA/BOLZANO. Martha Stocker - pusterese di Caminata di Tures che oggi vive tra la Carinzia (dove segue un progetto per le minoranze) e l'Alto Adige - compirà 70 anni ad aprile e da quando ha staccato la spina dalla politica si dedica alla sua grande passione, le camminate. È più facile incontrarla con lo zaino in spalla e il pile che non a Palazzo Widmann, che è stato la sua casa per anni. Nel 1998 è entrata in Consiglio provinciale (dalla giunta provinciale è andata via nel gennaio 2019), è stata vicepresidente della Regione e tra le deleghe più pesanti che ha avuto c'è quella alla sanità ma molti la ricorderanno per la sua crociata contro il gioco d'azzardo con la previsione del distanziometro, ovvero una distanza minima (300 metri) delle sale giochi dai luoghi sensibili.

Partiamo da qui: a Bolzano città, le giocate nel 2022 sono state 92,11 milioni di euro con un totale procapite di 1.202 euro. È davvero possibile porre fine al fenomeno che ha costi sociali elevatissimi?Dobbiamo fare tutto il possibile perché i riflessi di questa piaga sono enormi. Ho conosciuto famiglie che non arrivavano a fine mese proprio per l'azzardo e in questo mi sono sentita una sorta di missionaria. Facendo scelte anche pionieristiche a livello nazionale.

Tra i ludopatici chi è il giocatore tipo?

Dipende dal gioco: di sicuro è un fenomeno trasversale, che coinvolge tutti i ceti sociali. I giocatori che vediamo sono, solitamente, i meno abbienti. Mentre quelli che non vediamo, i più ricchi, giocano soprattutto in rete. A proposito di ludopatia ricordo un episodio particolare che fotografa bene il fenomeno.

Dove?

In una tabaccheria di Chiusa. Una donna prese un pacchetto di caramelle e con il resto dei suoi 50 euro chiese gratta e vinci. Quello, di solito, è l'inizio della dipendenza...meglio farci caso subito.

Lei ha mai giocato d'azzardo?

Impossibile per come sono fatta. L'unico gratta e vinci che ho avuto in mano è stato per un anniversario del Laurin e vinsi un caffè.

Facciamo un passo indietro: quando si è laureata in storia e germanistica a Innsbruck?

Nel 1978. Prima di andare all'università ho lavorato, dai 17 anni in poi, come segretaria in una ditta di idraulica, poi in una ditta edile e poi ho insegnato un anno. A 22 anni sono andata a Innsbruck a studiare all'università.

Per quanti anni ha lavorato come insegnante nelle superiori? E cosa le ha lasciato la lunga esperienza dietro la cattedra?

Ho insegnato prima alle medie a Bolzano in viale Europa e alle Stifter in via Diaz. Poi alle scuole superiori tedesche, all'ex Itc Kunter a Gries. Per me insegnare è una delle cose più belle in assoluto. Ho sempre cercato di stimolare l'interesse e la curiosità dei giovani: certo bisogna essere in grado di coinvolgerli e dare loro gli strumenti per crescere. Lavorare con i ragazzi è sempre stata una delle esperienze più appaganti.

Non è tempo, forse, di pensare davvero a una scuola bilingue per favorire la convivenza in Alto Adige? Gli italiani ci stanno provando ma sono "solo" sperimentazioni…

Oggi si può fare quasi tutto nel mondo della scuola. L'unico problema serio che vedo, dal punto di vista pratico, è rappresentato dal dialetto tedesco che per molti italiani è un ostacolo enorme. Io ho sempre cercato di parlare Hochdeustch e i risultati sono stati incoraggianti. Il nodo di tutto è la volontà.

Lei è sempre stata molto attiva in ambito associazionistico (dal sodalizio per gli universitari sudtirolesi alle biblioteche fino al teatro): lo fa ancora?

Sì, sono sempre in contatto con gli studenti sudtirolesi e stiamo preparando diversi dibattiti assieme. Il contatto con i giovani è una sorta di linfa vitale. Per trasmettere qualcosa ai ragazzi bisogna continuare a mettersi in gioco e a discutere con loro. Sono rimasta anche presidente delle piccole biblioteche tedesche a Bolzano.

Da presidente della Fondazione Magnago che messaggio vorrebbe trasmettere alle nuove generazioni?

Nel direttivo della Fondazione ci sono parecchi giovani e questo perché ritengo sia una grande palestra per loro. Tra i valori in cui credeva Magnago in cima alla lista c'è la giustizia. Tutti devono sentirsi a loro agio e rappresentati in democrazia. Come disse lo stesso Silvius nel 1964 con il tempo possono cambiare, anche molto, le cose da portare avanti ma non i principi fondamentali come la libertà e la democrazia.

Da presidente provinciale dal 1960 al 1989, Magnago morì il 25 maggio 2010 a 96 anni. C'è chi lo considera il grande architetto dell'autonomia. È così?

Sì, dobbiamo dirgli grazie perché è stato bravo a lottare su diversi fronti. Con ogni fibra ha lavorato per questa terra e per il suo futuro. Ha lottato con Roma, con i colleghi del partito, qualche volta con Vienna e attorno alle sue idee lungimiranti ha saputo creare consenso. Con Aldo Moro ha trovato un interlocutore di grande spessore che ha capito il suo pensiero fino in fondo. Come disse Berloffa "di Magnago possiamo fidarci".

Dopo essere stato ferito gravemente al fronte nel 1943 perdendo una gamba portava sul suo corpo i segni dell'odio e della guerra. Di qui il suo desiderio di unire e non di dividere i popoli?

Nel suo agire quotidiano ha messo sempre al centro la libertà. Ha vissuto sulla sua pelle il fascismo e condannato il nazionalsocialismo e ogni forma di totalitarismo. Magnago era pienamente convinto che la pace andasse ricercata in ogni modo. E lo fece.

Oggi l'ex governatore approverebbe la svolta a destra di Kompatscher?

Credo che non sia corretto cercare di interpretare oggi il pensiero di una persona che non c'è più.

Lei non è mai mancata ai raduni di Schützen e secessionisti a San Paolo. Ha ancora un senso o rischia di diventare una commemorazione anacronistica o soprattutto divisiva?

I toni che sono stati usati negli ultimi anni non mi sono piaciuti. Ma vado in Oltradige per il rispetto nei confronti di una persona - Kerschbaumer - che ha cercato di fare qualcosa di importante per la sua gente. Poi sui mezzi utilizzati non entro nel merito. Voleva colpire solo tralicci e case in costruzione ma quando si inizia con gli attentati il rischio che possano esserci dei morti c'è.

Sappiamo che le piacciono le lingue: ha fatto progressi in spagnolo e inglese?

Sì, ho studiato lo spagnolo-base per rapportarmi alle persone che incontravo lungo il cammino di Santiago. Va molto meglio con l'inglese e mi è servito anche l'ultimo viaggio di tre mesi - nel 2019 - in Nuova Zelanda.

Ha finito il Cammino di Santiago di Compostela?

Ho già fatto diverse tappe: da Porto a Santiago, il tratto da Saint Pied-de-Port in Francia ma anche il Camino del Norte. Mi manca la parte dal Sud al Nord.

Che emozioni prova?

Quando cammino mi si svuota letteralmente la testa e arriva anche qualche idea nuova. Risento un profumo, trovo un sasso particolare e prego. Sono in pace con me stessa e con il mondo. Ne traggo una tranquillità che nient'altro riesce a darmi.

Ha fatto qualche altra camminata importante?

Sì, subito dopo Natale il tratto da Salorno a Bassano del Grappa. Non appena trovo cinque giorni farò la Romea fino alla capitale.

Riesce a trovare anche il tempo di fare volontariato?

Seguo i ragazzi con disabilità intellettiva che praticano sport ed è un bell'impegno. Quasi ogni fine settimana siamo in giro. Sono reduce da una bellissima esperienza a Strasburgo. Sono nel direttivo dell'associazione La Strada e tanto altro ancora.

Che musica ascolta?

Mozart è in cima alla lista delle mie preferenze.

Qual è il suo libro preferito?

"Die 40 Tage des Musadach": mille pagine su una montagna in Turchia, dove nella prima guerra mondiale - nel 1919 - si rifugiarono e morirono migliaia di armeni. Anche di stenti e malattie. Fu un genocidio etnico. Devono ringraziare due navi, una francese e una inglese, che ne salvarono almeno una parte. Non appena sarà possibile andrò su quel monte per capire le loro sensazioni.

Farà una grande festa per i 70 anni?

Vediamo, non vorrei dimenticare nessuno. Ho già dato per i 50 ed è stata una bella esperienza.













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