I «luoghi della memoria»: un abisso tra Merano e Bolzano 

La deportazione. Nel capoluogo inaugurata l’installazione multimediale che ricorda gli 8.000 prigionieri del lager All’ex Bosin, sottocampo del capoluogo, c’è una lapide densa di parole ma disadorna, quasi dimenticata


Simone Facchini


Merano. A Bolzano, di fianco al muro dell'ex lager di via Resia, la nuova installazione multimediale rende omaggio a tutte le vittime che hanno incrociato il loro destino con quel luogo di prigionia. Fra 32 lastre di vetro incastonate in una parete di acciaio, scorrono i nomi (circa ottimila) di tutti coloro che sono stati deportati in questa struttura di sofferenza.

A Merano nell’area ex Bosin, in prossimità dell’uscita della MeBo, dove sorgeva il sottocampo di Bolzano, il “Luogo della memoria” si limita a una lapide apposta sul frammento del muro di cinta, tanto densa nelle parole quanto disadorna e fredda nell’impostazione. Lontana dal centro cittadino, e a questo non si può ovviare, ma lontana anche dall’obiettivo, quello di ricordare che anche in qui ci furono responsabilità nell’immane tragedia.

Dunque due immagini divergenti, a Bolzano e a Merano, per tenere accesa la memoria dell’Olocausto e degli avvenimenti che non risparmiarono questa terra. L’impegno del capoluogo da una parte, la relativa attenzione dei responsabili meranesi dall’altra per un luogo che svolge la sua vera funzione solo in occasione del Giorno della memoria. Si può fare di più?

Reputazione delle istituzioni.

A chiederselo è anche Daniela Rossi. Da assessora, si è battuta in prima fila per l’installazione della lapide all’ex Bosin. «Alcuni giorni fa – premette - il sindaco di Bolzano Renzo Caramaschi insieme al vicesindaco Luis Walcher ha inaugurato una nuova installazione luminosa davanti al muro che ricorda gli internati del lager bolzanino: un atto significativo per conservare nel futuro della città la memoria di un periodo tragico del Novecento ed un atto di rispetto per le vittime. Riattivare e tenere salda la memoria storica di una comunità crea capitale sociale e produce impegno civile. Nel contempo rafforza le istituzioni, ne accresce la reputazione e consolida la fiducia dei cittadini. È stato anche un atto simbolico che conferma un passato comune ed un insieme di valori condivisi, testimoniato dalla presenza alla cerimonia di numerosi cittadini e di rappresentanti delle istituzioni a diversi livelli».

Patrimonio identitario.

Una cornice dei fatti, quella dipinta da Daniela Rossi, che con garbo caldeggia interventi anche a Merano: «Auspico che anche il nostro Comune provveda ora a completare il lavoro di arredo intorno alla porzione di muro del lager cittadino che fu campo satellite di quello di Bolzano dall’autunno del 1944 alla primavera del 1945, dove venne apposta nel 2010 una lapide a ricordo. Lo spazio intorno è ancora disadorno. Il progetto originale ne prevedeva l’arricchimento con la creazione di un’aiuola o la posa di alcune semplici piante ed un’ulteriore indicazione stradale». Magari sulla scorta di quelle che guidano i turisti a scoprire i luoghi significativi della città. «So che l’amministrazione di Merano è impegnata nella salvaguardia della trasmissione del patrimonio storico e culturale cittadino», aggiunge Daniela Rossi. «Confido, pertanto, nella volontà di ultimare in via definitiva questo luogo. Tenere viva e curare la memoria del passato evita che possa assottigliarsi e rendere debole il nostro patrimonio identitario di città della convivenza. Fa trovare esempi di virtù e di coraggio, come ci racconta la vicenda delle due giovani internate e fuggite dal campo di Merano, da mostrare soprattutto ai giovani ai quali la società attuale offre modelli sociali nei quali la cultura è sbeffeggiata, la slealtà e la furbizia sono esaltate, il linguaggio viene semplificato».













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