L'INTERVISTA enzo nicolodi dopo l’uccisione di soleimani 

«Iran, il raid americano ha disorientato tutti» 

La crisi internazionale. Cinque lunghi viaggi nel paese mediorientale negli ultimi anni «Ho sentito alcuni amici, temono l’impoverimento e soprattutto una stretta interna del regime»


simone facchini


merano. «Ho parlato con amici di Teheran. Sono scioccati dall’escalation in corso». Enzo Nicolodi, personaggio ampiamente conosciuto in città anche per il suo spirito da viaggiatore, ha da tempo («da quando ho smesso i panni del turista da fast food») ha eletto l’Iran come meta dei suoi soggiorni all’estero. Lunghe permanenze, cinque negli ultimi anni.

«Non sono un politologo» premette. Ma certo può aiutare a comprendere, con gli occhi di un occidentale, lo stato d’animo di una popolazione che al momento si trova al centro del mondo.

Sui media scorrono parole e immagini della reazione iraniana all’uccisione di Soleimani e le repliche di Trump. Ma al di là delle folle oceaniche per i funerali del generale, qual è oggi la quotidianità in Iran?

L’episodio ha provocato una forte inquietudine a tutti i livelli. Al di là dell’impatto emozionale nella popolazione, crescono i timori per il deterioramento delle condizioni di vita che già erano peggiorate negli ultimi anni. Come in tutti i conflitti, minacciati o reali, è sempre la popolazione civile a pagare il prezzo più alto.

Condizioni peggiorate per quale motivo?

Le sanzioni nei confronti dell’Iran legate al ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare hanno provocato unnotevole danno economico e impoverito il paese. L’ho potuto constatare di persona nel mio ultimo viaggio, l’aprile scorso. La paura è quella di un ulteriore regressione. L’uccisione di Soleimani, visto l’episodio da un altro lato, ha invece ricompattato la nazione: come sempre accade, il nemico esterno coagula le forze interne. Succede anche con i miei conoscenti, tendenzialmente avversi nei confronti del regime.

Altri fantasmi?

Chi conosco vede nell’irrigidimento politico internazionale una possibile, conseguente stretta a livello interno rispetto a processi di apertura che si stavano sviluppando. Per esempio nell’uso della rete o in alcune libertà delle donne. Anche se dall’immagine mediatica si rivela solo pallidamente, in Iran c’è una larga componente laica nella popolazione. Fortemente culturalizzata. Componente che spesso non va nemmeno più a votare poiché a reggere le sorti del governo sono sempre la Guida suprema Ali Khamenei e gli ayatollah. I fatti degli ultimi giorni sono comunque il culmine di una svolta nei rapporti internazionali con riflessi interni in corso da alcuni anni.

Di che genere di svolta si tratta?

Posto che l’Iran è una regione geografica a forte conflittualità, complicata e complessa per varie ragioni, dal petrolio al burrascoso rapporto fra sciiti e sunniti, con l’era Obama è finita un’epoca in cui l’arma era la diplomazia. Con l’elezione di Trump, ma questo di certo non lo scopro io, si è instaurato un clima di belligeranza. L’impegno a contrastare il nemico esterno ha sortito anche l’effetto dei governanti iraniani di distogliere l’attenzione sulle difficoltà economiche interne. Mancano le contromisure.

Con le persone con cui ha contatti emergono paure di una guerra aperta?

Non mi pare, almeno per il momento. Anche se la storia insegna che non la si può escludere. E non esclude comunque il coinvolgimento

Come occidentale, nel corso dei suoi viaggi ha mai sentito ostilità nei suoi confronti?

No, almeno nei tre quarti del territorio e malgrado le condizioni politiche nelle diverse esperienze fossero variabili di volta in volta. Anzi ho trovato uno spiccato senso dell’accoglienza e conoscenza dell’Europa, voglia di confronto e apertura, malgrado le restrizioni del regime. Fa eccezione almeno in parte il Belucistan, a maggioranza sunnita, portatori di un Islam più radicale.

E di Trump, cosa ne pensa?

Un novello dottor Stranamore. Ma malgrado si possa pensare il contrario, di turisti americani in Iran ne ho incontrati tanti.













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