La legge Basaglia, «una rivoluzione copernicana»

Merano. Quando si parla di psichiatria Lorenzo Toresini è ancora un’autorità. Tra il 1999 e il 2013 è stato primario di Psichiatria al Tappeiner e del centro Basaglia di Sinigo, e fino al...



Merano. Quando si parla di psichiatria Lorenzo Toresini è ancora un’autorità. Tra il 1999 e il 2013 è stato primario di Psichiatria al Tappeiner e del centro Basaglia di Sinigo, e fino al pensionamento ha diretto il Centro studi provinciale per la salute mentale e per le scienze umane della Provincia. È stato lui a introdurre a Casa Ploner il sistema no-restraint, facendo della struttura meranese l’unico Spdc (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura) in cui nessuno fosse più legato a un letto. «Merano – spiega al telefono – fa parte del gruppo dei 25 Spdc italiani che dimostrano che un ricovero in psichiatria acuta senza contenzione è possibile. Troviamo esempi a Caltagirone, a Milano, a Caltanissetta, per dirne alcuni».

Gli Spdc sono stati introdotti dalla legge 180 del 1978. La famosa legge Basaglia, quella che «segnò una sorta di rivoluzione copernicana, perché al centro dell’universo, al centro dell’attività, rimetteva la persona e i servizi intorno alla persona. Non più la struttura, il manicomio. È stata una rivoluzione scientifica con significati politici di assoluto rilievo. A furia di sentirsi trattare da “folli”, nei manicomi i pazienti internalizzavano la loro “follia”, aggravandola». Poi alla definizione scientifica dell’autismo si è aggiunto un tassello, quello della distinzione da altri tipi di “follia”. C’è quello più lieve, come può essere la sindrome di Asperger di Albert Einstein o di Greta Thunberg, ma c’è anche quello più grave. Toresini racconta di un ragazzo – oggi un uomo – che durante gli episodi di crisi arriva a strappare i vestiti altrui, a rompere ogni oggetto di casa. «È il suo modo di relazionarsi. Ai tempi dell’assessore provinciale Otto Saurer, che ricordo ancora con stima, il ragazzo fu ricoverato all’Spdc di Bolzano. Vi rimase tre anni. Poi fu trasferito a Trieste, con un esborso annuo intorno ai 350 milioni di lire, vista la necessità di avere due operatori a seguirlo. Ricordo che andava in giro per la città a manina con una ragazzina alta la metà di lui. Tranquillo, durante quelle passeggiate, perché aveva paura del mondo. A Trieste è rimasto vent’anni». Lo psichiatra cita un esempio colto. Nel Flauto magico Papageno esce dalla foresta tutto vestito di piume di pappagallo: «Aiutatemi!», grida. «Perché è terrorizzato dal mondo della luce e della ragione. Papageno era un autistico, e credo che lo fosse anche Mozart. Chi è in grado di mediare tra ragione e genialità interna è un Mozart, un Einstein».

C’è un criterio, oggi, per la creazione di strutture appositamente per l’autismo? «Bisogna stare attenti a non creare ghetti: guardare caso per caso, distinguere ogni situazione, dare risorse a seconda del singolo caso. Serve avere pragmatismo tecnico e politico». S.M.













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