Le Delikatessen del primo ’900 “sparecchiate” da guerra e fame 

A tavola/seconda puntata. A cavallo fra i due secoli l’arrivo dei villeggianti russi che si affiancano agli ospiti austroungarici Con il primo conflitto mondiale crolla la fornitura di generi alimentari Poi la ripresa: assieme ai turisti italiani irrompono pizza e spaghetti


Jimmy Milanese


Merano. A cavallo tra il 18° e il 19° secolo, in seguito alla permanenza delle truppe franco-bavaresi di napoleone in Tirolo, Merano aveva sviluppato una cultura gastronomico-alimentare fortemente influenzata dalla cucina d'oltralpe, dopo secoli bui nei quali in città molto spesso si pativa la fame (lo abbiamo raccontato nella prima tappa di questo racconto in tre puntate).

Nella seconda metà dell'Ottocento, invece, Merano era ormai diventato un centro turistico e termale conosciuto in tutto l'Impero austro-ungarico, capace di fare concorrenza ad altre località di villeggiatura come Bad Ischl, residenza estiva di Francesco Giuseppe e della Principessa Sissi - ovvero da quando nelle cliniche del paese la salamoia entrò in uso per scopi medici - ma anche della più lontana Königsberg, meta dei protestanti salisburghesi per motivi religiosi là esiliati dal governo austriaco, all'inizio del 18° secolo. Erano gli anni, quelli, dove le più importanti località di villeggiatura europee si contendevano il turismo d'élite.

Arrivano i russi.

Nel 19° secolo, uno degli anni migliori per il turismo nella nostra città fu il 1885 quando, oltre alla crescente clientela prussiana e austriaca, in riva al Passirio iniziavano ad arrivare ospiti provenienti dalla Russia. Più di mille, quell'anno, anche grazie a una intuizione del direttore delle ferrovie dell'Impero che decise di creare una linea diretta tra la piccola Merano e la grande San Pietroburgo. Una linea che portò in città personaggi del calibro della pianista Natalija Pravossudovic ma anche Ljubov’ Dostoevkaja, figlia dell'autore di “Delitto e castigo”, così come Vassilij Kandinskij che dalla sua stanza d'albergo dipingeva i meleti altoatesini. Una linea ferroviaria che funzionò fino all'estate del 1914, entrata nella storia della letteratura mondiale grazie a “Il capostazione Fallmerayer”, romanzo del 1933 di Joseph Roth che narra le vicende d'un ferroviere e di un incidente ferroviario alle porte della nostra città: perfetta metafora per un mondo che stava, appunto, avviandosi verso il declino. Ad ogni modo, prima dello scoppio della prima guerra mondiale che, ancora una volta, influì pesantemente sul modo di “mangiare” in città - spiegato nel volume “Aperitivo al Bristol”, realizzato dalla Accademia Italiana della Cucina” - nei negozi dei portici andavano a ruba salami e tartufi, ma venivano anche preparati semifreddi e dessert accompagnati da vini di alta qualità, mentre nella Habsburgerstrasse, oggi corso Libertà, nel panificio viennese arrivavano giornalmente specialità sofisticate dalla capitale austriaca.

Insomma, una costante crescita della offerta di generi alimentari di alta qualità che contagiava non solo la ristorazione turistica ma anche le usanze della popolazione locale, sempre più interessata a contaminare la cucina tradizionale con la nuova offerta di prodotti “esotici”.

Patate e caffè.

Nel frattempo, in città si festeggiava il compleanno del dottor Franz Tappeiner, famoso per il suo erbario che comprendeva oltre 6000 piante, ma anche finanziatore della omonima passeggiata. Sempre in città, operava un precursore del turismo di montagna, quel Theodor Christomannos il quale contribuì in modo decisivo a scrivere il nome della città tra le mete preferite della nobiltà europea, grazie alla promozione di una serie di escursioni montane, appunto, che partivano dalla nostra città.

A pochi anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, Merano poteva contare su un contingente di oltre 30/40 mila ospiti annuali e un “cavallo di battaglia” nella gastronomia che aveva finalmente trovato il suo posto nelle tavole. Piantate per la prima volta a metà del XVIII secolo a Rablà, le patate – ora influenzate dai metodi di cottura e preparazione francesi - erano diventate un alimento onnipresente in città. Una presenza che aveva il nome di “Gröstl”, il classico piatto di patate e fettine di carne, arricchito con spezie e seguito da una bevanda che – sembra strano anche solo pensarlo – allora non era affatto patrimonio delle tavole meranesi. Parliamo del caffè che, grazie al fiorente commercio tra Merano e Vienna, iniziava ad essere massicciamente consumato anche in città, sia come bevanda sia nella preparazione delle torte che alla corte viennese già spopolavano.

La Grande Guerra.

Lo scoppio della prima guerra mondiale cambiò radicalmente il volto alla città la quale, seppur marginalmente coinvolta nelle operazioni del conflitto, ben presto si ritroverà orfana del turismo d'élite che l'aveva portata nelle cronache di tutto il mondo. Una situazione drammatica, resa ancora più complicata dal freddo pungente dell'inverno del 1915, quando le autorità rivolsero un accorato appello alla popolazione stremata: “Consumate più cavoli e meno patate”. La chiusura di quasi tutti gli alberghi e dei ristoranti, come effetto collaterale, produsse un drastico calo degli arrivi di generi alimentari in città. “Sembrava di essere al medioevo descritto nei libri che leggevamo quando eravamo bambini”, affidava una madre alle cronache cittadine, e mentre per acquistare i generi di prima necessità bisognava possedere una tessera, i prezzi di alcuni beni aumentavano a dismisura.

Le truppe italiane, sbarcate in città dopo l'11 novembre del 1918, si trovarono di fronte a una situazione drammatica. Oltre alle malattie da malnutrizione, Merano si presentava come l'ombra di se stessa. Una città con un passato di recente splendore, ridotta in uno stato spettrale, dove la priorità era “sbarcare il lunario”. Come ricorda Silvano Faggioni, nel volumetto “Aperitivo al Bristol”, fu il comando militare italiano a mettere a disposizione della popolazione, a titolo gratuito, circa 3000 kg di riso. Insomma, spiega Faggioni: «Il primo impatto fra le forze occupanti e popolazione... fu dunque alimentare»!

Un arrivo, quello degli italiani, che ben presto trasformerà ancora una volta l'aspetto delle tavole dei meranesi, grazie all’introduzione del riso che andrà fatalmente ad accompagnare i piatti tipici locali fatti di carne e patate. Arriveranno anche la conserva di pomodoro, gli spaghetti, i formaggi duri italiani e, di lì a pochi anni, la pizza, rigorosamente napoletana.

Singolarmente, fu in un famoso discorso al Senato di Francesco Nitti, Capo di governo italiano nel luglio del 1919, a dare via al turismo italiano in città. Infatti, in quel discorso, Nitti invitò i suoi concittadini a scegliere l'Alto Adige anche come meta turistica. Da quel punto, prima ancora di qualsiasi decreto fascista, i menù nelle trattorie popolari iniziavano anche a proporsi in lingua italiana, dopo quella tedesca. E con questi, venivano serviti i primi piatti tipicamente italiani, come i risotti e la pasta al pomodoro. L'apertura, seppur per un breve periodo, della Casa da gioco al Kurhaus aumentò in modo smisurato l'arrivo degli italiani, mentre sul fronte del Brennero, Italia e Austria erano pronte a costruire barricate che avrebbero impedito a molti turisti di arrivare in città. Il giorno di Pasqua del 1924, raccontano le cronache, sulle passeggiate sfilavano ben 12.000 turisti!

L’epoca dei bar.

Spuntavano ovunque bar, sale da cabaret, da Milano arrivavano bande jazz con il loro carico di whisky, un American Bar era sempre aperto al Meranerhof, mentre un bar futurista al vecchio hotel Bristol ospitava gli intellettuali italiani in villeggiatura. In quegli stessi anni, il turismo italiano era incentivato ad arrivare in città anche grazie al nascere di numerose manifestazioni sportive, come i grandi tornei di tennis, ma anche l'inaugurazione dell'ippodromo nel 1935, oppure, le gare motociclistiche e di equitazione, così come i primi tornei di scacchi.

Un turismo prettamente, ma non solo, italiano che ritornava a popolare la città come ai vecchi tempi. Una città che, nel frattempo, aveva scoperto la sua sorgente d'oro. Infatti, negli anni trenta erano state individuate alcune fonti di acqua radioattiva, in particolare quella di san Vigilio: altro motivo per fare un salto a Merano. Insomma, alla vigilia della seconda guerra mondiale, la “Kräftige deutsche Küche” di Merano non esisteva (quasi) più, perché di li a poco un'altra piccola rivoluzione avrebbe investito la città: l'arrivo degli chef stellati.















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