Merano fu la meta più gettonata dai fuggitivi nazisti 

Si trovavano documenti falsi che servivano per imbarcarsi Nel 1945 sotto i Portici venne arrestato l’ambasciatore Rahn


di Jimmy Milanese


MERANO. Nel corso delle convulse giornate precedenti alla cattura ed esecuzione di Benito Mussolini, avvenuta il 28 aprile del 1945, più volte al Duce venne consigliato di scappare dall'Italia attraverso l'Alto Adige, in particolare, Merano, dove esisteva una fitta rete di spalleggiatori del regime fascista e nella quale vivevano ancora i familiari della famiglia Petacci. Mussolini scelse la via della Svizzera, sicuramente più rischiosa, e tutti sappiamo come andò a finire.

Diversamente, già a ridosso della fine del conflitto bellico, l'Alto Adige venne scelta come meta di fuga privilegiata da decine di gerarchi nazisti, i quali avevano precedentemente spedito le loro famiglie in quella che veniva chiamata «terra di nessuno». Tra questi, si erano rifugiati in Alto Adige il gerarca Adolf Eichmann e il medico della morte Josef Mengele, ovvero il Reichsleiter Martin Bormann e la famiglia di Heinrich Himmler. Anche Erich Priebke rimase per qualche giorno a Bolzano e, come scrisse nelle sue memorie, in Argentina fuggì con un noto albergatore locale che sull'Alpe di Siusi aveva costruito un piccolo impero.

C'è anche la storia di Maximilian Bernhubert, alto dirigente della banca del Reich responsabile della requisizione dei beni degli ebrei che a Fortezza aveva nascosto il suo ingente patrimonio personale.

Sono questi i risultati di una ricerca condotta dallo storico Gerald Steinacher della Università del Nebraska, confluiti nel volume edito da Raetia «Dalla liberazione alla ricostruzione: Alto Adige/Südtirol 1945-1948», a cura di Giorgio Mezzalira, Fabrizio Miori, Giovanni Perez e Carlo Romeo. Uno studio minuzioso che spiega come l' Alto Adige venne largamente utilizzato dai criminali nazisti come via di fuga, riportando numerosi casi di collaborazionismo da parte della popolazione altoatesina che difficilmente consegnava i fuggiaschi alle autorità militari. Ma è la città in riva al Passiro la meta privilegiata dei fuggitivi nazisti: un luogo dove era facile ottenere documenti falsi con i quali, solo a partire dal 1946, era diventato possibile imbarcarsi a Genova per i paesi dell'America Latina. Ad esempio, nel maggio del 1945, ufficiali americani arrestarono, in un appartamento sotto i Portici, l’ambasciatore tedesco Rudolf Rahn, assieme a numerosi sottoposti funzionari intenti all'acquisto di passaporti falsi. Oppure, al seguito del barone Gabor di Kemeney, ministro degli Esteri ungherese nel governo fascista di Szálasi, l'ambasciatore tedesco Dietrisch von Jagow si suicidò in un Hotel di Maia Alta poco prima di essere arrestato. Merano venne letteralmente presa d’assalto dai membri del regime collaborazionista francese di Vichy, a partire dall'aprile del 1945. Tra questi, il Primo ministro Pierre Laval, il ministro della Propaganda Jean Luchaire e il capo della polizia di Vichy, quel Joseph Darnand responsabile di alcune delle più violente rappresaglie fasciste compiute da personale non germanico. Invece, una decina di alti diplomatici giapponesi scelse un prestigioso Hotel di Maia Alta per riciclare con successo le proprie generalità. Proprio nel 1947, il nostro giornale scriveva come: «a Merano si è concentra una notevole massa di ex nazisti e collaborazionisti, ma pochi di questi, finiti i soldi, si è integrato nella società civile, mentre la maggior parte si è dedicata ad attività illegali di varia natura». Uno dei casi più significativi è quello dell'ufficiale SS Karl Scheiderer, il quale arrivò a Merano sotto lo pseudonimo di Robert Karrasch e in città visse fino alla sua morte, sopraggiunta pochi anni fa. Nella sua autobiografia, Scheiderer descrisse l'accoglienza che gli venne riservata dalla popolazione locale, in particolare da un oste di Curon Venosta, il quale lo accolse dicendogli: «Non abbia paura giovanotto, qui di italiani non ce ne sono, siamo tutti tedeschi». A Merano trovò rifugio anche Reinhard Kops, agente del controspionaggio che in città organizzò un vero e proprio punto di smistamento dei gerarchi nazisti, proprio sotto i Portici, nell'appartamento ristrutturato ad albergo che in codice rispondeva al nome di «Tante Anne». Questa signora meranese, anch'essa poi fuggita all´estero, ospitava a pagamento tanto nazisti quanto ebrei in fuga. Venne spesso citata nelle sue memorie da Simon Wiesenthal, che in quella locanda aveva pernottato qualche giorno, dedicando poi la sua vita alla ricerca dei criminali nazisti fuggiti dalla Germania. Scriveva, Wiesenthal:«Gli ebrei erano nascosti ai piani alti e veniva detto loro di non muoversi, mentre ai nazisti, sistemati al pianterreno, era raccomandato di non uscire di camera». A Merano, dal 1945 al 1947 c´era anche il medico Emil Gelny, tra i responsabili del programma di eutanasia forzata nei campi di sterminio nazisti in Austria, mentre settimanalmente circa 400 ebrei attraversavano la città di ritorno dai campi di concentramento, fianco a fianco ad ex nazisti o ufficiali della Gestapo. Insomma, un via e vai di persone, tra i quali la fuga del notissimo gerarca Adolf Eichmann, poi processato e condannato a morte nel processo di Gerusalemme, che in Alto Adige trovò addirittura in un parroco e in un francescano l'aiuto necessario per la fuga in Sudamerica. Una fuga che fu possibile grazie ai preziosi lasciapassare prodotti dal Comitato internazionale della Croce Rossa, riconosciuti validi in tutt'Europa e stampati anche in alcune tipografie meranesi che pochi anni prima avevano lavorato per produrre dollari e sterline false.

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