Poche e ubbidienti «È il patriarcato: nei posti del lavoro come in politica» 

Marcella Pirrone. Cofondatrice del Centro antiviolenza di Merano, la presidente di Wave spiega perché esserci ed essere consapevoli «Come dice Harris, le bambine devono vedere esempi e possibilità»


Sara Martinello


Merano. Commissioni, carte, leggi esistono da più di cent’anni, eppure la lotta per i diritti delle donne resta viva e urgente ancora oggi. Le battaglie vinte annegano nelle cronache e nella vita quotidiana: non è un caso che “Il racconto dell’ancella”, l’opera di Margaret Atwood che ha ispirato la serie televisiva “The Handmaid’s Tale”, raccolga tanta partecipazione emotiva. E nella nostra piccola parte di mondo che cosa succede? Possiamo continuare a parlare di “soglia minima” del numero delle elette? Ma soprattutto, siamo troppo educate? Per una risposta abbiamo intervistato Marcella Pirrone, presidente di Wave (Women Against Violence Europe), avvocata di D.i.Re (Donne in rete contro la violenza), cofondatrice del Centro antiviolenza/Casa delle donne di Merano, consigliera di fiducia del Comune di Bolzano e dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige, ex docente a Innsbruck e alla Lub, solo per citare gli incarichi più noti. È lei a darci le risposte in materia di presenza delle donne in politica, con un avvertimento: il discorso non può prescindere dall’intersezionalità.

Partiamo da lontano: qual è la situazione in Europa?

Grazie alla visione europea dentro wave, nel contatto con le istituzioni europee e quindi anche a livello di panorama politico più ampio di quello italiano – per non parlare di quello altoatesino – vedo sempre di più un assoluto dato di realtà: in europa le donne sono ancora discriminate. il gender gap è un problema, valoriale, culturale, economico e sociale. non solo questo divario tra uomo e donna è sempre stato un ostacolo allo sviluppo di una società evoluta, cioè di un luogo dove i vantaggi siano condivisi in pari misura, ma col covid dobbiamo ipotizzare un Backlash per i diritti delle donne, un”ributtarci indietro”, di decenni. c’è chi parla anche di cinquant’anni. oggi è questa la preoccupazione a livello europeo, non solo delle donne, ma di tutte e di tutti i benpensanti che tengono ad una società giusta ed equa. ci dimostra che la parità uomo-donna non è consolidata, non esiste: basta una crisi a rimescolare le carte.

E l’Italia com’è messa?

Il tema di una parità inesistente è specchio di quello che siamo, soprattutto in italia. siamo ultimi in europa per la presenza delle donne nel lavoro, ultimi anche in tema di servizi per la cura e per l’assistenza di minori e anziani, con la conseguenza che sia scontato che questi compiti siano demandati alle donne. in italia il tasso di occupazione è del 52 per cento, contro una media europea del 66,5. ma l’ultimo posto rispetto alla parità delle donne sul lavoro è anche qualitativo, va letto in termini di posti di lavoro ben pagati e di prestigio sociale riservato agli uomini. siamo una repubblica fondata sul lavoro, il mondo del lavoro dovrebbe essere accessibile a tutte e a tutti. ma certi luoghi sono inaccessibili per le donne.

Quando si parla di secondo mandato la consigliera provinciale Brigitte Foppa cita per le candidate sindache un tasso di mancata rielezione del 37 per cento, per gli uomini dell’8. Nel consiglio meranese le elette erano appena il 22 per cento. Tra i “luoghi inaccessibili” c’è anche la politica?

Eccome. quel che succede in politica è espressione diretta di tutto questo: non si ritengono le donne “naturalmente” o “normalmente” presenti. la politica ha valore, ha potere: nel suo piccolo, anche una consigliera comunale rappresenta una posizione di potere. faccio un esempio. in europa abbiamo un 27 per cento di presenza in ruoli di ministre, ma se si guarda alle funzioni di esercizio del potere (viceministri/e, sottosegretari/e) scendiamo al 13 per cento. ogni tanto qualcuno se ne esce dicendo: «ah, ma le donne sul lavoro litigano». tra uomini non è estremamente aspra la lotta per il potere? togliamo il velo, che le donne non ci siano è voluto da chi difende ciò che sembra “il naturale ordine delle cose”, cioè quell’ordine di una società patriarcale con i ruoli tradizionali e stereotipati tra uomo e donna che deve stare al suo posto, cioè quello che le viene assegnato da chi ha il potere (in tutti gli ambiti).

Ne fa parte anche il linguaggio, dalla banalizzazione delle istanze ai nomi delle professioni al maschile. Si parla ancora di “maschile neutro”.

Lingua e linguaggio non sono neutri, non lo è nemmeno la parola “neutro”. il punto è che di spazio per le donne nell’immaginario non c’è, se usiamo un linguaggio simbolico, maschile, del patriarcato. sia che lo usi un uomo o che lo usi una donna. la politica ha bisogno di donne in ruoli importanti, ma non basta essere donne, bisogna essere donne consapevoli del proprio valore e vivere personificandolo, dando per scontato che questo sia riconosciuto per sé e per tutte le altre donne.

Qui c’è il tema delle donne prive di formazione femminista che però sanzionano altre donne, spesso accusandole di non mostrare garbo o inclinazione alla “solidarietà”.

È difficile ribellarsi a un ordine costituito. siamo esseri sociali, chiunque vuole essere accettata. protestare, chiamarsi fuori fa paura. «sto buona, almeno posso partecipare». veniamo educate fin da bambine a essere parte “ubbidiente” nello spazio che ci viene “concesso”: quindi tante donne, nell’illusione di partecipare, a volte si fanno le prime portatrici dei valori di questo ordine costituito, spesso misogino e discriminatorio, non avendo consapevolezza di quanto subiscono e fanno subire ad altre donne. penso per esempio alle aule giudiziarie dove avvengono – sia da parte di giudici uomini che donne – gravi discriminazioni nei confronti di quelle donne che in un certo senso non corrispondono a questi modelli “tradizionali” o che li mettono in questione; si parla, infatti, del problema della vittimizzazione secondaria nei processi delle donne vittime dei reati di violenza di genere.

Le manifestazioni femministe possono dare consapevolezza a osservatrici esterne?

Ben vengano le manifestazioni. sono contenta che le nuove generazioni di donne siano molto più chiare. ma è anche perché non hanno niente da perdere: che cosa offre loro una vecchia italia, ancora misogina e sessista, oggi?

Effettivamente la settimana scorsa il consiglio provinciale, col “no” di Svp e Lega, ha respinto la mozione dei Verdi per l’introduzione nelle scuole di progetti di formazione alla non violenza.

Non ci si rende conto del danno che si sta facendo: nella maggior parte delle famiglie la parità non esiste, quindi sono la scuola e la società tutta il posto dove impararla, dove viene dato il massimo delle possibilità. Parlando di danni, vogliamo guardare al portafoglio, come piace a tanti politici? Alcune ricerche in Europa hanno dimostrato che per ogni euro investito in progetti antiviolenza ne tornano quattro, in termini di costi sociali e sanitari e produttivi risparmiati. Un 60 per cento di occupazione femminile porta a una crescita del Pil pari al 7 per cento. Lo dice Linda Laura Sabbadini esperta di statistiche di genere all’Istat, con i dati della Banca d’Italia. Ma il vero costo, incommensurabile, è la lesione della dignità e dei diritti umani delle donne e obblighi degli Stati enunciati nelle carte internazionali e europee da settant’anni fa ad oggi.

Un mese fa in Regione stata respinta la mozione dei Verdi per una quota di genere obbligatoria nelle liste per le elezioni comunali (almeno un terzo). E c’è anche l’appello analogo lanciato dalla Rete meranese. Ma perché un terzo e non la metà?

Perché non parliamo di un tetto massimo di privilegi per chi li ha? Non vogliamo una concessione, una quota di protezione. È questione di distribuzione delle risorse e di pari opportunità. Le risorse ci sono? Bene, ce le dividiamo, e mettiamo un tetto del 50 per cento alla presenza maschile. Comunque le leggi sole non bastano se non ricadono su un terreno fertile, anche perché a tante enunciazioni di principio non seguono sanzioni. Infatti chi ha voluto promuovere sul serio il congedo di paternità, ad esempio, come in Svezia, lo ha reso obbligatorio per tutti, in modo da costringere il mercato del lavoro ad avere pari trattamento tra uomini e donne, guardando al valore della persona, non al genere. Dove è – come da noi – facoltativo, viene preso pochissimo e solitamente da quegli uomini che nulla hanno da perdere in termini di carriera. Infatti in Alto Adige il tasso di abbandono da parte delle donne del lavoro dopo il secondo figlio è alto. Bisogna rivedere i modelli produttivi e se si vuole renderli più flessibili, questo non può andare ancora una volta a danno delle donne che nel 60 per cento dei casi di part-time in Italia vengono costrette ad accettarlo (ricerca Istat 2019), con un futuro di povertà pensionistica certo.

Da diverse dichiarazioni di suoi esponenti, a più livelli, la Volkspartei darebbe quasi l’impressione di aver paura delle donne. È così?

Non parlerei di paura, ma semplicemente di “non voler mollare sul proprio privilegio di uomo al potere”, da cui non si salva nessuno. È un discorso trasversale ai partiti, sappiamo che sono pochissimi quelli disposti a dividere la torta. Si torna sempre alla solita storia dell’obbedienza naturalmente richiesta alle donne, «Devi stare al tuo posto, e il tuo posto lo dico io qual è». In famiglia, a scuola, sul lavoro, in politica. Ogni donna sa benissimo quale sia il suo posto, perché se non ci resta sa che rischia delle “randellate”. Una donna non può essere troppo competente, e ancora meno esserne consapevole, se no diventa minacciosa.

In un recente dibattito tra politiche meranesi una di loro citava l’assenza di “qualità femminili” nelle furiose contrattazioni per la formazione della giunta. Le donne non possono essere spietate?

Fa parte dell’immaginario costruito fin dall’infanzia: alle bambine è richiesto di essere “brave e ordinate”, solitamente si sforzano di essere brave in tutte le materie, senza permettersi di seguire soprattutto le proprie inclinazioni e talenti; il messaggio subliminale di dover lottare per essere riconosciute nel proprio valore arriva presto. A un bambino invece tendenzialmente si permette di più di essere “creativamente disordinato”, tendenzialmente lo si lascia “vivere” di più ciò che viene visto come espressione della sua individualità, ci sta anche simpatico. A proposito di immaginario, mi piace molto la frase della prima vicepresidente Usa, Kamala Harris: «Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima. Ogni bambina che stasera ci guarda vede che questo è un paese pieno di possibilità». Le bambine devono vedere le donne che si esprimono con successo e grande riconoscimento pubblico.

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