Settant’anni fa la parola fine sull’avventura del Casinò 

«Rien ne va plus». All’inizio del 1950 il voto del consiglio provinciale  si oppose all’ipotesi di riaprire la casa da gioco che era stata attiva  al Kurhaus a singhiozzo e per brevi periodi: aperta nel 1914, poi negli anni Venti, nel 1937 e infine nel secondo Dopoguerra


Jimmy Milanese


Merano. C`era grande fermento in Italia, quel primo febbraio del 1914 quando, dopo anni di discussioni tra favorevoli e contrari, finalmente nelle vecchie stanze del Kurhaus venivano aperte le prime sale da gioco. Un’apertura brevissima di quello che venne pomposamente chiamato “Casinò di Merano”. Apertura durata solo tre giorni, perché il 4 febbraio le autorità imposero la serrata, salvo accettare la temporanea riapertura, il 16 febbraio, per poi ordinare una nuova e definitiva serrata nell’aprile dello stesso anno.

In città non si parlava d’altro, in quei mesi, con una parte della popolazione contraria a quella che veniva chiamata “deriva morale” e un’altra, invece, allettata dai possibili guadagni provenienti da una sala da gioco, fino a quel momento gestita da una società viennese. Lo scoppio della prima guerra mondiale pose in secondo piano la vicenda, e anche con il passaggio del Sud Tirolo all’Italia la situazione non mutò. Infatti, all’inizio degli anni Venti, erano poche le persone che potevano permettersi di spendere il loro denaro nel gioco e - si sarebbero visti gli effetti sul settore turistico - la parziale chiusura delle frontiere con Austria e Germania non avrebbe agevolato l’arrivo di turisti sufficientemente ricchi.

L’epoca fascista.

Ad ogni modo, la sala riaprì nel 1921, nonostante l’ostilità del movimento fascista altoatesino. Fu lo stesso Benito Mussolini, dalle colonne del quotidiano “Il Popolo d’Italia”, a scagliarsi a più riprese contro la sala da gioco riaperta in una città che conosceva bene, proprio per averla frequentata come giovane giornalista. Proprio la questione del “Casinò” in città causò una drammatica spaccatura tutta interna alla sezione cittadina del fascio tra i pro e contro. Al punto che Achille Starace – da lì a poco nominato vicesegretario del Partito Nazionale Fascista - decise lo scioglimento del fascio meranese. Le pressioni a favore della riapertura del “Casinò” non cessarono ed arrivarono perfino sulla scrivania di Luigi Credaro, nella forma di una richiesta degli allora sindaci di Merano, Quarazze, Maia Bassa e Maia Alta al Commissario Generale Civile della Venezia Tridentina. I sindaci sottoposero a Credaro la situazione disperata delle loro finanze comunali, chiedendo come àncora di salvataggio la riapertura delle sale da gioco. Credaro, ricordato nelle cronache per la sua diplomazia e capacità di ascoltare le anime della città, ottenne dal governo di Roma l’autorizzazione per la ripresa dei giochi e da lì a poche settimane, era il 5 ottobre del 1922, anche per questo venne letteralmente assalito da una squadra di camice nere. Il senatore Credaro, già ministro della Pubblica istruzione fino allo scoppio del conflitto bellico, venne costretto alle dimissioni, ma nel frattempo il piccolo “Casinò” era stato temporaneamente riaperto, sotto la gestione di un imprenditore italiano particolarmente apprezzato dai fascisti meranesi, ma non dalle camice nere bolzanine e trentine che si erano mobilitate contro la bisca “clandestina” di Merano. Infatti, se qualcuno in città chiedeva a gran voce la costruzione di une vero e proprio edificio dedicato al gioco da tavolo, dall’altra, il fronte contrario non solo a questa eventualità ma anche al funzionamento delle sale da gioco meranesi, poteva contare su una sponda repubblicana in Parlamento, nettamente ostile alla deriva che questa attività aveva portato, attraendo attorno ad essa bische clandestine e bordelli. Con il rafforzamento di Mussolini come capo di governo, le richieste per un edificio d’azzardo in città si placarono fino al 1937 quando, in una Merano oberata di debiti, l’Azienda di Cura letteralmente sfidò la legge in vigore e diede in gestione le sue sale a un imprenditore il quale il 16 agosto riaprì la sala da gioco nell’edificio del nuovo Kurhaus.

Solo quattro i giorni di apertura, con ai tavoli il podestà e un nugolo di imprenditori, perché giovedì 19 agosto il questore di Bolzano mise fine all’esperienza delle sale da gioco a Merano. Fine al gioco, non alle aspettative, anche se con un colpo di genio dall’aprile del 1939 fino all’ottobre dell’anno seguente a Merano si poteva in qualche modo ancora giocare al Pavillon des Fleurs, trasformato in un centro di ritrovo per i turisti illustri dove puntare le fiches era possibile.

La seconda guerra mondiale.

Ancora una volta fu il conflitto mondiale, questa volta il secondo, e il vuoto creato dal mancato arrivo di turisti, a precipitare la città nella indifferenza verso ogni forma di svago. Al termine delle ostilità, per ovviare alla mancanza di fondi, il sindaco Arvino Moretti ottenne dal governo militare alleato la possibilità di aprire la sale da gioco: cosa che avvenne il 20 dicembre del 1945, sotto la gestione del gruppo milanese di Marco Spaini che già gestiva Sanremo e che di lì a poco divenne consigliere personale dell’imprenditore Adriano Olivetti. A Merano il gruppo Spaini portò tutto il peggio del passato, tra imprenditori senza scrupoli, ex fascisti sotto mentite spoglie e moltissima valuta sporca che aveva bisogno di essere riciclata. Per questo, il 23 giugno del 1946 venne definitivamente posto il drappo verde sulle sale del Casinò meranese. Persino Piero Richard, neoeletto presidente della Azienda di soggiorno, provò ad ottenere da Roma il via libera per la riapertura delle sale, ma non se ne fece nulla. Nonostante i mugugni all’interno del partito di raccolta sudtirolese, il meranese Silvius Magnago non si mise mai veramente di traverso alla volontà di riapertura delle sale espressa anche dal missino Andrea Mitolo.

La parola fine arrivò però con la votazione contraria del consiglio provinciale all’ordine del giorno di un gennaio del 1950 che, se approvato, avrebbe impegnato la Provincia a far pressioni su Roma a favore della riapertura del Casinò municipale di Merano. Nemmeno il potente e influente armatore Arnaldo Bennati al quale si deve la costruzione dell’hotel Bristol nel 1954, già progettato per ospitare le sale da gioco, riuscì a riaprire il dibattito affossato da una decisione dell’organo supremo della Provincia, esattamente nel gennaio di settant’anni fa.
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