«Sfide pericolose di una gioventù in crisi d’identità»
Il “train surfing” fra Lana e Maia Bassa. L’analisi dopo lo sgomento: «Ragazzi in cerca di protagonismo per affermarsi. Prima di tutto hanno bisogno di essere ascoltati, non giudicati»
Merano. Il train surfing all’altoatesina ha trovato visibilità social. Nella civiltà dell’immagine è come dire che adesso esiste. Ma è probabile che l’episodio non sia una prima volta. «Ne sento parlare fra i giovani, così come sento parlare di altre sfide che per loro sono “eroiche”. Comportamenti di certo non esemplari, ma riconducibili al bisogno di identità che permea la gioventù di oggi». Davide Vanni, psicologo clinico, lavora a stretto contatto con il mondo giovanile. La sua lettura del video pubblicato dall’account Instagram free.kidz scavalca il giudizio e cerca invece di comprendere le ragioni. Nel filmato due ragazzi mascherati si aggrappano all’ultimo vagone di un treno e viaggiano verso Merano, in equilibrio precario, riprendo il fatto con action cam, un drone e altri supporti che fanno emergere la presenza di complici.
Dottor Vanni, cosa spinge i giovani a correre questi rischi?
I ragazzi cercano di affermare loro stessi. È un richiamo al bisogno di identità. Per essere qualcuno oggi significa o essere famosi, un calciatore o una starlette, oppure compiere qualcosa di eclatante. Essere protagonisti in un altro modo. E poi manca la speranza nel proprio futuro.
Cose vuole dire?
Fino a un paio di decenni fa a scuola veniva prospettato un futuro. Oggi l’informazione che passa ai ragazzi è questa: ora studio, troverò un lavoro, forse riuscirò a comprare un appartamento che pagherò fino a 70 anni, chissà se prenderò mai la pensione. Più semplice, e l’ho sentito a parole chiare da più adolescenti, cercare il modo di fare soldi facili. Dunque battendo brutte strade, se non si diventa sportivi celebri o star della Tv. Vincono i valori sbagliati.
C’è qualcuno fra gli attori della formazione e dell’educazione che lei ritiene abbia più responsabilità?
Spesso osservo considerazioni-domande del tipo “Ma la famiglia dov’è?”. Ma a sedici anni il gruppo dei pari, vale a dire dei coetanei, per i giovani vale almeno due volte la famiglia. E vivono in un mondo che va veloce, velocissimo. Trovo ottimo il lavoro dei centri giovani, già se si riesce a far varcare quella porta a un ragazzo con problemi è un successo. Perché incontra un ambiente sano ed educatori preparati e pronti ad ascoltarli.
Individua una via d’uscita?
L’ascolto. L’impegno di provare a comprendere i giovani. Parlare loro senza dare giudizio, senza accusarli.
Pochi mesi fa una discussione si è aperta sul video di trap-music girato da un gruppo di ragazzi meranesi.
Appunto, ho parlato con alcuni di loro: si sono sentiti aggrediti dalle reazioni. Non c’è stata voglia di ascoltarli veramente. E l’effetto è stato di allontanarli ancora di più dagli adulti. SIM