Tedeschi in fuga e piani segreti, dietro le lapidi storie di guerra 

In via San Giuseppe. Tombe di soldati del Reich testimoniano gli spostamenti dei militari dalla Germania a Merano, base strategica Nel cimitero è sepolto anche Paul Savini, freddato al Brennero nel ‘45: i tre commilitoni che lo trovarono morto gli fecero visita per decenni


Jimmy Milanese


Merano. Nella giornata che ricorda i caduti di tutte le guerre, le celebrazioni delle autorità cittadine sono passate anche per il cimitero germanico di via San Giuseppe. Un luogo poco conosciuto e frequentato dai meranesi, ma che è meta di visite particolari.

Nel cimitero gestito dal Volksbund sotto la direzione di Robert Fischer, che come scopo ha proprio quello di riconciliare i popoli una volta in guerra tra di loro, ogni anno decine di cittadini tedeschi tornano per visitare i propri parenti deceduti nel corso della seconda guerra mondiale. Infatti la città di Merano, pur non essendo stata toccata dalle vicende belliche come il capoluogo o altre località italiane, nel corso delle ostilità fu spesso utilizzata dal comando tedesco, proprio per la sua posizione strategica. Ad esempio, nel settembre del 1943 Castel Labers fu requisito e utilizzato come centro di smistamento nell’ambito dell’operazione Bernhard, con cui i nazisti miravano ad affossare l’economia inglese, stampando e diffondendo sterline false.

Questo evento, ma molti altri, prima e dopo la resa italiana, portò diversi ufficiali tedeschi o anche semplici militari a chiedere addirittura il trasferimento a Merano, perché ritenuta un luogo sicuro e ospitale. Un viavai che ha lasciato il segno, anche nella presenza di un importante cimitero militare dedicato alle vittime tedesche della guerra.

Uno dei tredici, in Italia, tutti gestiti e finanziati dal Volksbund attraverso donazioni che vanno a sostenere le attività di ben 832 cimiteri militari nel mondo, sparsi in 45 stati per un totale di 2,7 milioni di caduti in guerra, seppelliti fuori dal territorio tedesco. Di questi, appunto, 1058 riposano a Merano, nel cimitero inaugurato nel lontano 20 settembre del 1943. È un giro tra i nomi dei militari che hanno perso la vita a Merano a riportare alla memoria una società dove la varietà di etnie fu improvvisamente spazzata via da quell’Europa nazifascista che aveva esaltato il peso dei nazionalismi. Il cimitero fu costruito dal Comando tedesco a Merano per dare un luogo ai suoi soldati che in città trovavano riposo in oltre trenta lazzaretti, fino agli anni Cinquanta, quando venne più o meno completata l’opera di trasferimento delle salme di militari tedeschi nella sede di via San Giuseppe.

La struttura, molto semplice, si caratterizza per la presenza di una croce raffigurante una scultura di san Giorgio, santo che nel 300 d.C. salvò una fanciulla dalle grinfie del drago per poi immolarsi alla causa cristiana, in un’epoca nella quale i cristiani subivano persecuzioni per la loro religione.

Tra le storie, spesso miste a leggenda, che si narrano sulla vita dei soldati tedeschi sepolti a Merano, sotto lastre di pietra distese nel prato di erica, su ciascuna delle quali sono incisi i nomi dei caduti con le poche informazioni disponibili, c’è quella di Paul Savini: militare tedesco di chiari origini italiane che fu freddato al Brennero nel maggio del 1945, quando le truppe tedesche stavano lasciando l’Italia in fretta e furia. Il cadavere fu trovato da tre soldati che prelevarono dall’uniforme alcuni suoi effetti personali, consegnati alla polizia giudiziaria di Augusta, mentre per la sepoltura si scelse il cimitero comunale di Colle Isarco.

Nel tardo 1948 i tre soldati tornarono dalle loro famiglie, dopo un periodo di detenzione nelle prigioni americane e russe, ma non si dimenticarono di quel soldato. Infatti il confronto tra gli oggetti personali e un cadavere di soldato traslato da Colle Isarco al cimitero di Merano aiutò alcuni addetti del Commissariato della polizia giudiziaria tedesca a identificare in Paul Savini i resti contenuti nella tomba 792.

E tra i tanti visitatori di quella tomba, fino all’inizio degli anni Ottanta, c’erano anche i tre amici e reduci di guerra che contribuirono a svelare l’identità del suo occupante. Ex soldati che Merano la conoscevano bene, uno di loro comprò perfino un appartamento di villeggiatura. Amici di un soldato che mai conobbero, proprio perché i ricordi di guerra, a distanza, spesso si manifestano nella melanconica memoria di un passato che non smette mai di tornare alla mente.













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