Un modello tutto meranese incoraggia il polo dell’autismo 

Sostegno alle famiglie. Casa Sophie Ploner, a Maia Alta, è un esempio virtuoso con un potenziale importante «Negli anni la struttura si è via via specializzata. Incrementando spazi e personale aiuteremmo più persone»


Sara Martinello


Merano. Ufficialmente si chiama “convitto”. Ma la casa “Sophie Ploner” di via Rufin, di competenza della Comunità comprensoriale del Burgraviato, in realtà è molto di più. È un esempio luminoso di cura delle persone con disturbi dello spettro autistico, portato avanti con tenacia da un’équipe di operatori ed educatori. Nel frattempo, la sanità si sta dando da fare perché si arrivi a un protocollo provinciale che dia nuovo slancio alla cura di chi convive con l’autismo. Uno sforzo che al contempo restituisce sempre nuove conoscenze sul funzionamento neuropsichico, trasformando la fatica in conoscenza. «Se la struttura di Maia Alta fosse ampliata in termini di spazi e di personale potrebbe dare sfogo alla richiesta di più famiglie altoatesine, limitando i ricoveri fuori provincia». Così ci dice chi ci collabora, che preferisce rimanere anonimo.

L’ultimo, straziante appello lanciato sulle pagine dell’Alto Adige dal padre di un 14enne autistico risale a un paio di mesi fa: «A casa abbiamo dovuto togliere qualsiasi oggetto che sia di vetro o di porcellana, perché quando arrivano le crisi mio figlio spacca tutto. La televisione l’abbiamo nascosta prima che finisse a pezzi. Eliminata anche la lampada della sua stanza dopo che ne aveva fatte fuori tre. Il dramma è che, da qualche mese, appena vede sua mamma l’aggredisce, la scaraventa a terra, le strappa i capelli». È il racconto delle crisi in cui possono ritrovarsi i casi più gravi. Quando poi i pazienti arrivano all’età adulta, per una coppia di genitori ormai in età avanzata gestire queste situazioni diventa ancora più complesso. «Ci sarebbe bisogno di una struttura ad hoc che da noi non c’è», rispondeva nell’occasione dell’articolo lo psicologo Gabriele Bissacco, che insieme all’associazione “Il Cerchio” segue il ragazzo nella terapia settimanale.

Generalmente si fanno alcune ore di riabilitazione ogni settimana, massimo tre o quattro. «Questo comporta una maggiore possibilità che si verifichino crisi – spiega la nostra fonte – e se per le associazioni convenzionate gestire la situazione non è più possibile il paziente non va più a fare la terapia. Le crisi aumentano. Così non è infrequente il ricovero in Psichiatria, dove il paziente è sottoposto a una terapia farmacologica. Il paziente esce, se ha ritrovato una certa tranquillità riprende con la riabilitazione. Ma se poi tra le mura domestiche ricade negli episodi di crisi scatta la chiamata al servizio sociale, con la ricerca di strutture che lo possano accogliere».

Sul territorio nazionale di centri eccellenti ce ne sono, dalla trentina Casa Sebastiano alla rete pavese. Per non parlare di Milano, dove un importante progetto che mette in comunicazione residenze, centri diurni e laboratori permette una corretta suddivisione delle attività giornaliere – molto importante nella vita di una persona con disturbi dell’autismo – e comporta la costruzione di un progetto di vita ad hoc. La residenza è la casa, dove si incrementano le abilità domestiche. Tutti gli ospiti, anche quelli molto gravi, frequentano il centro diurno, che con educatori ed ergoterapisti si occupa dello sviluppo delle abilità cognitive e operative. A mano a mano che si acquisiscono abilità si può iniziare a frequentare i laboratori: ceramica, pittura, tessitura... Tutti, perché anche un autistico si può annoiare, pure se è seriale.

A Merano per ora i posti sono otto. Al momento non tutti sono riservati a persone con disturbi dell’autismo, sebbene sia questa la direzione che Casa Ploner vorrebbe intraprendere. «Negli anni la struttura si è via via specializzata e ora potrebbe essere la base sulla quale creare un polo per l’autismo: significherebbe un maggiore sostegno per il personale e per la struttura in sé, che al momento ha spazi limitati». A questa istanza stanno rispondendo, come detto, gli sforzi del settore sociosanitario, volti a portare all’interno della provincia maggiori possibilità per le persone con autismo. L’interlocutore cui ci siamo rivolti si spiega: «In Alto Adige non esistono centri diurni riabilitativi. Ci sono residenze e laboratori. Servirebbe un vero e proprio polo dell’autismo, magari con strutture-satellite per separare gli ospiti a seconda della fascia d’età: minori, giovani, adulti, “molto adulti”. Ne verrebbe un centro che allevi il peso sulle famiglie che a casa non ce la fanno più». Viene da Milano anche l’esempio dell’appartamento protetto per paziente e genitore, dove un educatore insegna come stabilizzare la persona autistica. «Più abiliti, più il paziente riuscirà a fare. E meno resterà in residenza senza riuscire a tornare in famiglia o a vivere in un alloggio protetto».













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