L'INTERVISTA luca mercalli 

«Alla montagna serve un turismo più intelligente» 

Clima e coronavirus. La pandemia come occasione per ripensare il modo di vivere l’alta quota: da visitatori, ma pure come nuovi abitanti «Recuperiamo le località più degradate senza aggiungere cubatura»


sara martinello


gardena/badia. Il blocco degli spostamenti in tempi di coronavirus come chiave di accelerazione per un ripensamento globale del turismo, verso una ripopolazione della montagna ponderata che faccia leva sulla riqualificazione edilizia e su internet come fattore abilitante.

Dopo la diatriba sulle seconde case accesa dalla “calda raccomandazione” del presidente della Provincia Arno Kompatscher, il climatologo Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana, propone un nuovo scenario per la montagna, uno scenario in cui la sostenibilità alleggerisca la pressione sull’ambiente e sulla società.

I meno informati parlano di una pandemia «del tutto inaspettata», ma nella bella videointervista rilasciata ad Andrea Membretti, ricercatore dell’Istituto per lo sviluppo regionale di Eurac Research, Lei ci rivela ben altro.

La pandemia era assolutamente prevedibile: già nel 2013 David Quammen in “Spillover” ci aveva detto perfino dove si sarebbe sviluppata. D’altra parte non è una novità che i wet market siano i posti dove lo spillover, il salto di un patogeno da una specie all’altra, è più probabile.

Una sorta di deresponsabilizzazione da parte della politica dei tagli alla sanità?

I tagli alla sanità sono stati fatti come sono stati operati in molti altri settori. Quel che importa, in questo contesto, è che si è scoperta l’importanza della sperimentazione del telelavoro. Quella del virus è una lezione di metodo. Ridurre la mobilità quotidiana verso i luoghi del lavoro è possibile, così come è possibile eliminare ciò che è futile come un volo panoramico in elicottero sulle Dolomiti e tenere soltanto ciò che è utile, o inutile ma altamente qualificante in termini culturali, per esempio leggere un libro.

E in tema di turismo come si fa questa distinzione? È vero che sarebbe ecologico solo quello “d’élite”, quello negli alberghi CasaClima?

Dipende solo da quante risorse materiali ed energetiche si usano per la vacanza. Posso andare in un hotel CasaClima con l’aereo o con un grosso Suv da 500 cavalli e fare motocross nel bosco. Oppure posso arrivare in montagna con una piccola utilitaria elettrica facendo un viaggio di poche centinaia di chilometri e passare dieci giorni a fare escursioni a piedi sui sentieri e a leggere libri contemplando la natura intorno a me. Più cose immateriali faccio, più sono sostenibile, e viceversa. Con “immateriali” intendo attività contemplative, culturali, emotive.

Come è frequentata, oggi, la montagna?

Male. Gli arrivi si concentrano in pochissimi periodi dell’anno, a Natale e a Ferragosto, ma il virus nei prossimi mesi ci metterà di fronte all’esigenza di scaglionare il turismo così come si sta pensando alla flessibilità nel lavoro. Uno dei primi criteri potrebbe essere quello economico, agendo ancora di più sulla leva dei prezzi a seconda della domanda, in maniera da agevolare la scelta di date molto diverse da parte dei visitatori. Una desincronizzazione. Ma io sono un climatologo, di una riflessione in questo senso si dovrebbero occupare tante persone diverse, dagli amministratori agli abitanti, dai rappresentanti del turismo alla stampa. Mi viene in mente la prima settimana dell’emergenza: la neve c’era ancora, e i grandi comprensori sciistici, spaventati, si sono affrettati a invitare tutti a sciare.

Poi c’è stata la chiusura delle zone montane ai possessori di seconde case.

Già. Perché non lasciare la libertà di scegliere dove passare la quarantena? L’abitante di una seconda casa, proprietà sulla quale paga le tasse, non può essere una risorsa solo quando apre il portafogli e un peso quando è visto come un appestato che corromperebbe la purezza delle alte quote. Si deve fare i conti con la svendita dei terreni fatta cinquant’anni fa per un’urbanizzazione selvaggia.

A Membretti Lei parla di una ri-abitazione della montagna, e l’altro giorno Stefano Boeri su Repubblica parlava di 2300 centri sotto i 5 mila abitanti in stato di abbandono.

Io vivo in val di Susa: ci sono le piste di Sestriere della Vialattea, poi ci si sposta di pochi chilometri e si trovano borgate che crollano, case che cadono a pezzi. L’overtourism e la montagna sofferente, due eccessi e un gran stridore. In futuro le ondate di calore aumenteranno, quindi perché non scegliere di vivere stabilmente in quella che siamo abituati a pensare come una seconda casa? Per farlo però serve un progetto politico di recupero del patrimonio edilizio. Spesso sono edifici degli anni ‘60 o ‘70 da sottoporre a riqualificazione energetica o proprio da abbattere e ricostruire. E c’è anche tutto un patrimonio di malghe e baite ormai in decadenza (per un esempio nel dettaglio, all’indirizzo www.lucamercalli.it lo scienziato spiega il recupero di una grangia del 1732 in borgata Vazon, in provincia di Torino, ndr). Ma dev’essere un ritorno intelligente, “a numero chiuso”.

Che cosa vuol dire?

Significa che non si deve costruire un centimetro cubo di più. Non si deve costruire niente di nuovo, la cubatura deve restare la stessa.

Ma per eleggere i centri fantasma delle Alpi o degli Appennini a residenze vere e proprie ci vogliono i servizi.

Sì, acqua, luce, parcheggi, strade, tutto un processo che deve essere governato dalla politica. Spero davvero che la montagna diventi luogo di vita e di lavoro, e in questo il fattore abilitante è l’accesso all’internet.

E se un novello montanaro avesse voglia di un aperitivo?

Be’, non posso pensare di trasferire Milano in val Badia, non ci starebbero proprio le persone. Però magari a 10 mila milanesi dell’aperitivo non importa niente, per fortuna siamo tutti diversi. E se proprio venisse voglia di un aperitivo o di una mostra si scenderebbe in città. Come un visitatore.













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