Covid, chef all’angolo «Non ce la facciamo più» 

Gardena, gli effetti della pandemia. De Candia e Baldini sono i capofila della protesta I cuochi: «Siamo qui con la famiglia e gli affitti sono cari. Per noi niente lavoro e zero ristori»


Daniela Mimmi


Val gardena. È una catena a cui sono tutti agganciati: se non aprono gli impianti, non aprono gli alberghi, se non aprono gli alberghi non aprono ristoranti, bar, rifugi. E sono centinaia, o forse migliaia, in questo momento in Val Gardena, i lavoratori messi in ginocchio dalla mancata partenza della stagione sciistica. Spesso sono lavoratori non inquadrati, senza alcuna difesa, senza ristori, senza aiuti. Lavoratori che vengono da tutte le parti d’Italia, che sono rimasti di colpo senza uno stipendio, che non sanno come arrivare alla fine del mese. Tra questi ci sono gli chef. Giuseppe De Candia, chef dell’Hotel Sun Valley di Selva Gardena, insieme al collega Alessio Baldini dell’Hotel Nives, sempre a Selva, sono i capofila di una protesta pacata ed educata. Intanto stanno cercando di fare gruppo e si tengono in contatto tra di loro attraverso whatsapp. Hanno aderito e stanno aderendo in tanti, a cominciare da Gerardo Spinelli, chef del Tubladel di Ortisei, poi Luca Martignone, maitre sempre del Tubladel, Luigi Gentile, sous chef di De Candia, Mauro Capurso, sous chef del Nives, e altri ancora. Giuseppe De Candia è originario di Molfetta, in Puglia, e lavora come chef in Val Gardena da 14 anni. Vive qui con la moglie e una bimba di 3 anni. «I problemi sono enormi. Da marzo, quando c’è stato il primo lockdown, abbiamo potuto lavorare solo un paio di mesi in estate. In pratica, finora, ci sono stati tolti 7 mesi di lavoro su 9. Tutti noi abbiamo famiglia, gli affitti da pagare (e in Val Gardena sono salati!), dobbiamo mangiare, vivere. Nessuno ci aiuta. L’Hgv si sta attivando perché l’indennità di occupazione maturata non basta a coprire tutto il periodo fino alla prossima riassunzione». Quando sarà? Ancora tutti brancolano nel buio, prima di tutto gli albergatori e i gestori dei ristoranti. «Siamo tutti sulla stessa barca - continua De Candia - e remiamo nella stessa direzione. Nelle nostre stesse condizioni ci sono anche gli albergatori e i gestori dei ristoranti, ma anche i camerieri, i baristi, le ragazze alla reception e ai piani, i rappresentanti, i fornitori. Devo dire che i titolari di alberghi e ristoranti hanno dimostrato solidarietà, cercano di sostenerci, ma anche loro, come fanno ad assumere personale se le strutture non aprono? La titolare dell’albergo per cui lavoro, mi ha addirittura dato la possibilità di utilizzare un suo appartamento per la mia famiglia». I lavoratori del settore del turismo disoccupati, in questo memento in Alto Adige, sono 10mila: la stragrande maggioranza di loro non ha sindacati, non ha tutele, senza nessun tipo di indennità, nessun sostegno di finanziario. Solo contratti stagionali che non danno diritto a nessun tipo di protezione. «Il problema maggiore, per la maggior parte di noi, è che lavorando tanti mesi qui, ci siamo trasferiti con le famiglie, con figli che vanno a scuola. Tanti vengono dal sud. Ma la vita qui non costa come in Puglia o in Campania, solo l’affitto costa 1.000-1.200 euro al mese, senza contare il costo della vita. Come facciamo senza lavoro? Siamo in una regione che vive di turismo e che non protegge i suoi lavoratori. È tutto sbagliato, anche a livello statale. Certe categorie sono protette, altre abbandonate al loro destino. Abbiamo lavorato tutta l’estate con la mascherina e mi creda, in cucina, con il caldo, è stata una tortura. Ma siamo disposti a sobbarcarci qualsiasi fatica e scomodità, pur di poter lavorare». Purtroppo non si vede ancora l’attesa luce in fondo al tunnel.

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