ELEZIONI 2022

Siegfried Brugger: «Insisto, la Svp deve aprirsi agli italiani»

L’ex Obmann rilancia la proposta: «È tempo di fare valere non soltanto la nostra storica prerogativa etnica ma soprattutto la nostra possibile rappresentanza territoriale»


Paolo Campostrini


BOLZANO. «Vi ricordate quando avevo proposto, da segretario, che la Svp istituisse una sua sezione italiana?». Erano un po’ di anni fa, avvocato… «Beh, fui assalito dalle critiche. Ammetto che probabilmente i tempi non erano maturi ma resto dell’idea che quello poteva e può essere un percorso». Siegfried Brugger è stato tutto nella Volkspartei. Giovane Obmann, parlamentare, interlocutore governativo, a volte anche anima critica. E oggi guarda al calo dei consensi a suo modo: come un “challenge”, dice, una sfida. «I tempi sono cambiati e noi a volte siamo come il vecchio Pci. Molto strutturati, con le sezioni sparse e numerose di cui ci fidiamo per avere occhi sul territorio e sugli stati d’animo. Ma fuori - insiste - si corre molto in fretta». E propone di riparametrare le proporzioni delle due componenti essenziali della Svp, la minoranza tedesca e ladina e il territorio in modo diverso: con più attenzione a quest’ultimo in chiave di possibile rappresentanza non solo etnica. E dunque non solo tedesca.

Questa riflessione la fa dopo la vittoria di Spagnolli?

Pure, ma non solo. È un processo di riforma anche ideologico che andava comunque impostato.

Anche perché ora l’ex sindaco di Bolzano si trova ad aver creato un asse con partiti non solo italiani come Verdi e Team k?

Spagnolli non è Palermo, cioè un intellettuale. Un grande studioso. Sta in questa realtà. Immagino farà bene anche all’autonomia andandosene a Roma. Ma questa novità di aver aggregato anche elettori tedeschi, pur di opposizione, mi conferma che esiste uno spazio ancora non sondato nel quale possiamo far valere non soltanto la nostra storica prerogativa etnica, ma soprattutto la nostra possibile rappresentanza territoriale, dunque pure a favore degli italiani, in modo più visibile.

Dovete quindi misurarvi su questo?

È inevitabile. Non possiamo stare dove siamo e assistere all’erosione.

In questa luce non desistere nel collegio Bolzano e Bassa, non trovare un accordo col Pd è stato un errore?

Non ho detto questo.

E che cosa?

Che era giusto, guardando alla cosa da tutti i lati, in fondo fare quello che abbiamo fatto. Non si poteva insistere nel far calare dall’alto un nome non scelto dalla base. Lo si è fatto per decenni. E ho ancora ben presente gli effetti di un candidato paracadutato come la Boschi.

C’era stata pressione dalla Bassa?

Certo. E questa volta si è deciso di ascoltarli. Evidentemente si è rischiato, ma anche consentito agli elettori di poter scegliere tra più candidati.

Cosa le rimane di questa scelta in fondo non felice del partito?

Non la definirei infelice. In quel collegio abbiamo imposto per infinite elezioni la ragion di Stato. Questa volta no. Penso che sia servita questa scelta.

Ma in che prospettiva?

Ad esempio in vista delle provinciali prossime. Avessimo fatto diversamente, ci saremmo trovati davanti un elettorato incattivito per non essere di nuovo stato ascoltato.

Immagina una Svp in ripresa o in flessione per allora?

Temo che ci sarà una flessione anche alle provinciali.

E per evitarla, o almeno non accentuarla?

Spendere bene quest’anno. Accettare la sfida di una realtà in mutamento, guardando all’autonomia in modo più pragmatico e territoriale. Puntando sulla buona amministrazione, evitando liti e scandali e attirando con questo anche l’elettorato critico. E italiano.

Il ruolo del partito di raccolta rischia di esaurirsi?

I partiti popolari di raccolta sono in crisi. La Csu in Baviera che ci è simile come idea territoriale della politica sta scendendo. In val d’Aosta l’Union Valdotaine è in una grave situazione. I centristi austriaci, anche se in un diverso contesto, pure. È sempre più difficile chiudere in uno stesso contenitore gruppi sociali e spinte economiche diverse.

Colpa di chi?

Del mondo che cambia. Pensiamo alla Dc, in Italia, al vecchio Pci. Erano molto strutturati eppure il cambiamento è stato invincibile.

E la Svp?

Comunque la si guardi, resta un partito in grado di tenere. E di farlo ben oltre ciò che è accaduto a raggruppamenti nati dalle stesse esigenze.

E perché?

Perché oltre a un territorio abbiamo la storia di questo territorio. C’è stata una annessione, anni difficili, si sono ottenuti enormi risultati.

I suoi limoni spremuti...

Anche. Ma quelle competenze, moltissime, conquistate allora e dopo, sono state godute da tutte le comunità. Ecco, questa condivisione va in qualche modo evidenziata.

Anche formalizzata in una sezione italiana?

Lo avevo proposto forse troppo in anticipo. Ma resta la necessità di un cambiamento, di una riflessione in questo senso. La vittoria di Spagnolli ci dice che esiste una società sudtirolese molto in movimento.

Si riferisce alla componente sudtirolese di Verdi e TeamK che ha votato un italiano?

Questa realtà dobbiamo osservarla, nella Svp, come l’opportunità di accettare la sfida del cambiamento. Aumentando la capacità di espandere la nostra componente territoriale. Questa va maggiormente integrata con il nostro “core business”, la difesa del gruppo, della minoranza. E diventare oggetto di una seria riflessione interna. La società altoatesina si sta mostrando molto più fluida di quanto ci si attendesse solo qualche anno fa. Guardare al voto limitandosi a vedere quanto accaduto nel collegio Bolzano-Bassa solo come un episodio rischia di farci trovare impreparati alle prossime scadenze.













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