«I meranesi? Sono viaggiatori, fotografi ma anche narratori» 

Enzo Nicolodi sorride per il positivo bilancio della rassegna Alla migliore presentazione il premio intitolato a Gigi Bortoli


di Jimmy Milanese


MERANO. È un bilancio positivo, oltre ogni più rosea aspettativa, quello di Enzo Nicolodi, insieme a Harry Reich ideatore della rassegna “On the Road again” appena conclusa. Un’avventura iniziata nel 1985 da un gruppo di amici che, al ritorno dalle vacanze, erano soliti ritrovarsi al bar per scambiarsi le impressioni di viaggio. Anche l'edizione appena terminata è stata un vero e proprio girovagare per ben quattordici angoli del pianeta, otto Paesi europei, cinque asiatici e uno africano. Un’edizione, la prima, senza Gigi Bortoli storico e amato collaboratore dell’Alto Adige, tra i fondatori storici della manifestazione che nel corso degli anni ha collezionato 450 serate di proiezione grazie alla passione per i viaggi e per la fotografia di oltre 300 meranesi.

Nicolodi, la 33esima edizione per cosa sarà ricordata?

«Per la sala Urania sempre piena, e molto spesso con persone in piedi. Ma anche per la buona, se non ottima, qualità delle proiezioni».

La prima edizione senza Gigi Bortoli, a ricordo del quale è stato istituito un premio, giusto?

«Sì, infatti, ogni sera trenta spettatori hanno valutato la qualità delle proiezioni, e alla fine abbiamo raccolto i voti e fatto una sintesi per la assegnazione del Primo Premio Gigi Bortoli».

Un premio che sicuramente sarebbe piaciuto a Gigi il quale per anni ha immortalato la scena culturale meranese sia con la sua penna sia con la sua macchina fotografica.

«Giustissimo. Si tratta di un premio che consiste in un buono del valore di 200 euro per acquisti alla Bottega del mondo, oltre a un buono offerto da Urania per iscrizioni ai propri corsi e un pacco di libri dell'assessorato alla cultura del Comune di Merano».

Per la città, cosa rappresenta “On the Road again”?

«Potrei iniziare col dire che abbiamo ormai superato le 450 serate, coinvolgendo soprattutto centinaia di proiezionisti, molti dei quali hanno iniziato a scattare fotografie proprio in vista della nostra manifestazione».

Una manifestazione che ha insegnato l'arte della fotografia?

«La definirei una scuola per fotografi alle prime armi che talvolta ha modificato perfino il concetto di vacanza, visto che molti hanno iniziato a programmare le ferie proprio sulla base del fatto che, al loro ritorno, avrebbero poi presentato un resoconto di viaggio».

E rispetto a quel 1985, cosa è cambiato?

«Prima si andava in vacanza e si ritornava con le cartoline, mentre oggi ha preso piede l'abitudine di raccontare una storia, la storia delle nostre vacanze, spesso grazie ai mezzi offerti dalla tecnologia».

Ha menzionato la tecnologia, che immagino svolga un ruolo importante oggi nella programmazione di questa rassegna, giusto?

«Si, perché oggi per raccontare una storia, una vicenda o un aneddoto bisogna essere anche in grado di utilizzare le nuove tecnologie che magari all'inizio erano ostiche per molti. Il nostro Campestrini ha fatto tutto con il suo cellulare: un ottimo lavoro».

Raccontare è un'arte che “On the Road again” ha sviluppato?

«Sì, in questa stagione abbiamo puntato sul racconto, perché i racconti non muoiono mai e si tramandano di generazione in generazione. Puntiamo a rinforzare questa competenza. Non tutti sono narratori, ma ho visto uno sforzo positivo, e per il prossimo anno abbiamo pensato di dare un minimo di linea editoriale in tale direzione».

Caratteristica di questa rassegna è sempre l'uso delle due lingue, italiano e tedesco.

«Esatto, e chiediamo a tutti i nostri relatori di preparare una parte della loro presentazione nell'altra lingua. Ho notato che di solito la parte narrativa viene articolata nella seconda lingua, mentre quella più legata alle emozioni, di solito, viene affrontata nella lingua madre.

E funziona?

«Certo, posso portare l'esempio di Maurizio Staffetta, relatore toscano ma meranese acquisito, molto apprezzato per il suo sforzo nell'esprimersi in tedesco».













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