L'INTERVISTA lenz koppelstätter 

Il noir glaciale della val Senales arriva a Sabaudia 

Il premio. L’autore bolzanino ma con l’animo cosmopolita sul podio del Giallolatino col suo primo romanzo, “Omicidio sul ghiacciaio” «Ci vuole un lavoro di ricerca sul campo. E tanta voglia di ascoltare»


sara martinello


merano. Un commissario altoatesino, un ispettore napoletano, le atmosfere più glaciali della val Senales e uno scrittore cosmopolita capace di mettere insieme tutto questo e di raggiungere la triade dei candidati al premio Giallolatino, importante riconoscimento nel mondo del noir italiano. Domenica il bolzanino Lenz Koppelstätter sarà a Sabaudia per la cerimonia a conclusione del festival laziale, giunto ormai alla dodicesima edizione. Ad accordargli il favore di critica e pubblico, “Omicidio sul ghiacciaio”, edito da Corbaccio la scorsa primavera e pubblicato dalla tedesca Kiepenheuer &Witsch (KiWi) nel 2015.

Lenz Koppelstätter, nato a Bolzano nel 1982, è un autore di libri ambientati in Alto Adige assurti a veri bestseller in Germania, e ora sempre più apprezzati anche nello Stivale. Dopo aver studiato Scienze politiche a Bologna e Scienze sociali a Berlino ha frequentato la scuola di giornalismo di Monaco, arrivando a collaborare con testate come Tagesspiegel e Zeit Online. Autore di “Omicidio sul ghiacciaio” (KiWi, 2015, e Corbaccio, 2018), “Il silenzio dei larici” (KiWi, 2016, e Corbaccio, 2019), “Nachts am Brenner” (KiWi, 2017) e “Das Tal im Nebel” (KiWi, 2019), ora è alle prese con l’ultima stesura del suo quinto romanzo, in uscita il prossimo gennaio. E, pur avendo trascorso anni in una capitale europea, Koppelstätter ambienta i suoi romanzi noir ora in val Senales, ora in val d’Ultimo, ora tra le vigne dell’Oltradige o fra le trame dei nazisti in fuga al Brennero. È bastato un anno perché anche i lettori italiani cominciassero ad amare i suoi personaggi – personaggi realistici nella provincia melting pot – e a conoscere qualcosa di più della val Senales e della val d’Ultimo. Il perché lo spiega Lenz Koppelstätter.

Scelto prima fra i trenta autori selezionati dalla giuria, e poi all’interno di una rosa dei dieci votati anche dai lettori. Che effetto fa essere candidato alla vittoria del Giallolatino?

È la prima volta che una mia opera è candidata a un premio, se escludiamo il secondo posto ex aequo che conquistai a 15 anni nell’ambito del premio Cassa di Risparmio. Scherzi a parte, sicuramente la vedo come un’esperienza interessante, perché il mondo del giallo italiano non lo conosco ancora così bene e mi farebbe piacere incontrare altri scrittori italiani, anche giovani. Nel corso di un festival di Amburgo ho già conosciuto Luca D’Andrea, di Bolzano, e mi piacerebbe approfondire i legami con nuovi autori.

A Sabaudia Lei porta il sincretismo sudtirolese del commissario Grauner e dell’ispettore Saltapepe, fuso nel ghiacciaio di Ötzi. Una ricetta curiosa.

Va detto che da bambino i miei, soprattutto mio padre, mi portavano spesso in giro per la nostra provincia. Per ricreare fedelmente le atmosfere delle valli ci sono tornato più volte, facendo un lavoro di ricerca ben diverso da quello a cui ero abituato come giornalista. Vado al bar, ascolto, osservo, parlo con le persone. Chiedo chi è l’esperto di storia locale, cerco di assorbire il più possibile. Non sono interviste “da giornalista”, non ti prepari le domande in anticipo, e devi essere conscio del fatto che per molto tempo quelle valli sono state chiuse rispetto ai grandi sommovimenti della storia. Si tratta di assorbire dialoghi e tratti della personalità per poi rimodularli in personaggi di fantasia che però riflettono le due culture che abitano l’Alta Adige. Grauner e Saltapepe sono un po’ un paradigma: alla diffidenza iniziale pian piano si sostituisce un sentimento di amicizia. Perché il sostrato umano è lo stesso, che il tuo senso della natura sia dato dalle montagne o che sia dato dal mare. Poi mi sono documentato molto, grazie alla direttrice del Museo archeologico, Angelika Fleckinger. E chiaramente ho cercato di rendere i miei personaggi molto diversi dai loro corrispettivi nella realtà: per fare un esempio, il sindaco di Ultimo è diversissimo dalla sindaca “vera”.

Lei è un giornalista, un esperto di comunicazione e uno scrittore. Ma dopo anni a Berlino ha deciso di tornare in Alto Adige: come mai?

Per l’idea di fare qualcosa di nuovo. Faccio il giornalista e faccio lo scrittore, mi piace occuparmi di cose diverse senza fossilizzarmi su un’attività soltanto. Mia moglie è tedesca, la sua famiglia è di origini turche, e ora che abbiamo un figlio volevamo provare a dargli la possibilità di vivere qui almeno qualche anno. Poi magari fra dieci anni saremo a Parigi, chissà.

Che cos’ha visto tornando in Alto Adige?

A diciott’anni non vedevo l’ora di uscire, di scoprire il mondo. Mi stava stretto, questo nostro pezzo di terra. Ma ora che sono tornato ho trovato un Alto Adige molto più aperto, e non solo dal punto di vista della cultura, ma anche se guardiamo per esempio all’architettura. Più recettivo nei confronti del mondo. Spostandomi tra la Germania e l’Italia ho capito che le differenze culturali ci sono, e che se vogliamo parlare di Europa queste differenze dobbiamo riconoscerle e accettarle, farne un punto di forza. Direi che è in questa sua peculiarità che l’Alto Adige può diventare un esempio di internazionalità. Perché non è necessaria la grande città perché ci sia apertura.

Sfide per il futuro?

Intanto la pubblicazione del mio quinto libro. E poi spero che il Giallolatino porti curiosità anche verso la traduzione italiana di “Nachts am Brenner” e di “Das Tal im Nebel”.













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