«Malata di sonno» a 28 anni: ora vuole ottenere l’invalidità 

Angela Colucci convive da 7 con una «narcolessia non Rem» «Mi sono ridotta a vivere a letto, ora va un po’ meglio»


di Jimmy Milanese


LACES. È una ragazza di appena 28 anni, Angela Colucci, residente a Laces, con un passato da studentessa universitaria a Verona e tanta voglia di lavorare come educatrice. Un sogno reso per ora impossibile da una malattia invalidante, che gli esperti chiamano narcolessia non Rem, cioè una stanchezza cronica che impone ad Angela di dormire per gran parte della sua giornata.

Angela, come è iniziato tutto?

«Mi sono ammalata a 21 anni. Dopo un’infezione intestinale è rimasta la fatica estrema, un’ipersonnia accompagnata da disturbi del sonno, ma all’inizio nessuno riusciva a diagnosticare che cosa avessi».

Che cosa ha fatto, quando ha capito che qualcosa non andava?

«Mi sono confrontata con altri pazienti e rivolta alle istituzioni locali. Ad esempio al Centro malattie tropicali di Verona, ma i miei disturbi permanevano, quindi ho continuato a pensare fosse un problema curabile con la gastroenterologia. Ma in realtà nessuno sapeva darmi un’informazione definitiva».

Come si svolgevano le sue giornate quando è insorta la malattia?

«Non venivo creduta, ma io avevo sempre sonno e stanchezza. Mi sono ridotta proprio a vivere a letto, e non riuscivo a compiere alcuna attività. Ho appena compiuto i 28 anni, mi sono anche tagliata i capelli a zero, prima facevo fatica anche a farmi lo sciampo, ora va un po’ meglio».

Eri una studentessa universitaria, giusto?

«Si, studentessa fuoricorso, alla fine, ma perché avevo difficoltà di memoria e concentrazione, quando prima ero sempre stata una brava studentessa. Ho dovuto abbandonare l’università, mi hanno anche licenziata dal lavoro, in quanto per difficoltà cognitive non riuscivo a stare in piedi».

È tornata a vivere a Laces?

«Sì, sono stata obbligata a tornare dai miei genitori. Facevo fatica anche a cucinare e avevo bisogno di assistenza da parte della mia famiglia».

Ha consultato degli specialisti?

«Certo, moltissimi, che non capivano, poi è arrivata la dottoressa Helene Bernhart, che ha diagnosticato per prima, proprio a Merano, la mia malattia. Pian piano ha escluso altre patologie e mi ha invitata ad andare in un centro».

Che cos’ha fatto, quindi?

«Confrontandomi con un ricercatore, il professor Aldo Baritusso, ora in pensione ma che gratuitamente aiuta i suoi pazienti, ho definitivamente capito che avevo la sindrome da fatica cronica, la narcolessia non Rem. Avevo dato un nome al mio calvario».

Ha ottenuto sostegno dalle istituzioni?

«Nel 2017 ho fatto richiesta al servizio sanitario per poter ottenere l’invalidità, visto che ho difficoltà nel lavoro. Nel tempo sono migliorata, certo, c’è stata una remissione dei sintomi, ma non riesco ancora a mantenere un lavoro».













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