la conferenza 

Rispoli: «Punire il reato, non l’uomo»

MERANO. Una serata dedicata a un tema poco visitato sia dai media sia dalla politica, «i quali preferiscono prendere l’argomento di pancia, piuttosto che discuterne seriamente». A spiegarlo, invitato...


di Jimmy Milanese


MERANO. Una serata dedicata a un tema poco visitato sia dai media sia dalla politica, «i quali preferiscono prendere l’argomento di pancia, piuttosto che discuterne seriamente». A spiegarlo, invitato dall’associazione culturale Giorgio La Pira, Nicola Boscoletto, responsabile della cooperativa Giotto di Padova che da trent’anni offre lavoro ai carcerati del centro correzionale “Due Palazzi”. Di fronte a un folto pubblico, al Centro per la cultura di Merano il procuratore generale della regione Molise Guido Rispoli, assieme ad Alessandro Pedrotti di Caritas Alto Adige, ha spiegato quali sono gli effetti benefici dei programmi di recupero dei carcerati. Moderata dal giornalista Roberto Vivarelli, la serata si è concentrata sul lavoro della cooperativa Giotto, che nella sua attività pluridecennale ha visto crollare fino al 2% la percentuale di detenuti lavoratori che, una volta tornati in libertà, compiono altri crimini. Pedrotti ha illustrato l’accordo raggiunto con la Procura di Bolzano che permetterà a Caritas di impiegare diversi detenuti in attività lavorative, con la speranza di ridurre la recidiva, che in Italia sfiora il 90% dei casi. Sul fatto che si debba condannare il reato, e non la persona, concordano tutti i relatori, ma a raccontare le debolezze umane ci ha pensato Rispoli, rievocando la sua esperienza di pubblico ministero nel caso di Marco Bergamo, il killer di Bolzano che tra il 1985 e il 1995 uccise cinque donne: «Quei giorni ho vacillato anche io: senza mai sentirmi superiore a Bergamo, ho sentito la legge del taglione che c’è anche dentro di me». Gli uomini hanno uguale dignità, a prescindere dalla loro condizione: «La condanna è uno strumento con il quale il magistrato salvaguarda l’interesse della società, di fronte ai pericoli posti in essere da condotte criminali». Se l’articolo 27 della Costituzione spiega che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”, come spiegato da Rispoli «il processo si occupa troppo poco delle vittime, così sto lavorando a un progetto di giustizia riparativa che permetta di ricordare il torto subito in modo diverso, magari confrontandosi con il carnefice».













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