la replica 

COLLEGA FARMACISTA, MA DI COSA TI LAMENTI? 

Caro Collega Farmacista che ti lamenti sul giornale, mi domando come mai tu non abbia voluto firmare la lettera, visto che ti pregi di rappresentare il pensiero della maggior parte dei nostri...



Caro Collega Farmacista che ti lamenti sul giornale, mi domando come mai tu non abbia voluto firmare la lettera, visto che ti pregi di rappresentare il pensiero della maggior parte dei nostri colleghi farmacisti. Non ho capito cosa volessi ottenere con la tua lettera, considerazione, plauso o compatimento? Di fronte alle tue espressioni di “angoscia e paura”, di fronte al tuo voler proclamare a gran voce lamentele e rimostranze che attribuisci a tutta la categoria, se permetti, mi sento di doverti opporre qualche considerazione.

In primo luogo non sottovaluterei quanto, in questo momento veramente drammatico per la vita di tutti, la nostra categoria sia privilegiata: i farmacisti lavorano come sempre, aprono i battenti la mattina e li chiudono la sera, i nostri collaboratori non sono costretti a consumare le loro ferie forzate barricati in casa e se devono rendersi disponibili per qualche ora di straordinario, queste verranno loro correttamente retribuite, la nostra professione è l’unica a non risentire del drammatico tracollo economico di cui sono vittime inermi tutte le altre categorie. Non dimenticare Collega, che la nostra posizione non è minimamente paragonabile a quella dei medici e degli infermieri, che non hanno più orari di lavoro e sono sottoposti al pericolo di contagio in maniera molto più stringente di noi, perché stanno a contatto con patologie virali conclamate e non sono mai sicuri di potersi difendere, inoltre per medici e infermieri al pericolo di alta morbilità si aggiunge il senso di impotenza per ciò che non riescono a fare, lo sfinimento psicofisico per le scelte che sono costretti ad operare e poi non ultima l’impossibilità di riposare. E da parte loro non abbiamo sentito proteste o lagnanze ma solo spirito di sacrificio e orgoglio missionario.

Ma di cosa ti lamenti tu, Collega, che finito il tuo turno di lavoro te ne torni a casa a rilassarti sul divano e da lì nessuno ti richiama più per sfruttarti in trincea.

Ma cerchiamo di essere seri almeno adesso. I pazienti che vengono da noi, stanno a due metri di distanza, non li dobbiamo toccare, non li dobbiamo palpeggiare, ascoltiamo le loro richieste, magari dietro una paratia di facile installazione, prendiamo le loro ricette o la loro tessera sanitaria o il loro bancomat o i loro soldi ma con le mani protette dai guanti. Nessuno ci tossisce in faccia il virus e non è vero che non ci sono quelle che chiami le “maledette” mascherine, ce ne sono poche e per quanto modeste l’Unifarm oggi ne ha mandate 50 a farmacia, per cui tu, caro collega, una te la puoi mettere. Ma perché dalla tua lettera traspare solo una noiosa e reiterata lamentela, una scadente recriminazione? Perché non sei orgoglioso del ruolo finalmente importante che in questo momento la società chiede di svolgere a noi e alla nostra professionalità? Perché non ti rechi sul posto di lavoro fiero e grato per l’aiuto che la tua giornata potrà portare ai tuoi concittadini impauriti, provati e ormai stanchi? Perché non eserciti con passione il tuo ruolo arricchito di scienza ed esperienza? E perché non desideri essere un protagonista in questo momento drammatico, un valido supporto per tutti coloro che contano su di te?

Se così intendessi la nostra professione non ti lamenteresti e non vorresti attirare su di noi un’attenzione negativa. E poi ti chiarisco che io non voglio che le persone che si recano in farmacia debbano rimanere fuori da una saracinesca chiusa, come di notte quando siamo di turno, desidero possano aspettare in un ambiente confortevole, certo rispettando la distanza di sicurezza ma in un ambiente dove possano sperare di avere una parola di rassicurazione e conforto che, se permetti, non può avvenire al freddo al di là della serranda chiusa. E’ finito il tempo negativo di quell’atteggiamento corporativo protezionista, chi può deve entrare nella mischia e cercare di dare il meglio di sé. La nostra vita è già definitivamente cambiata, non si può continuare a misurare la realtà con il calibro ristretto delle nostre piccole tutele, esse non ci sono più. Oggi più che mai mi sento onorata di poter essere di aiuto a coloro che si rivolgono a me, di poter svolgere un ruolo effettivo di equilibrio per la nostra comunità. Forse, anzi sicuramente, avrò corso qualche rischio, vedremo, ma io sono stata contenta di essere dove dovevo stare. «Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento»

Non vorrei dirlo ma è un detto cinese.

farmacista













Altre notizie

Attualità