«L’ autonomia deve imparare la lezione del Covid» 

Intervista a Günther Pallaver. Il docente altoatesino: «Poche cose saranno come prima» A questo e ad altri temi di attualità politica è dedicato il nuovo volume di “Politika 2020” Dal flop doppio passaporto al fallimento sovranista. «Il nostro futuro si chiama cogestione»


Paolo Campostrini


Bolzano. C’è un Alto Adige prima e dopo il coronavirus. Nel primo stavano emergendo già alcune buone notizie: ad esempio che oltre i 2/3 della gente ritiene abbastanza privo di interesse il tema del doppio passaporto. «E anche se fosse stato accessibile - precisa Günther Pallaver - la maggioranza avrebbe preferito rinunciarci». E perchè? «Considera ben più importante la pacifica convivenza tra i gruppi. E la doppia cittadinanza sarebbe stata un elemento di disturbo». E questa è una sorpresa. Ma poi c’è un dopo. E qui le cose cambieranno. Anzi, lo stanno già facendo. «E non solo per noi, naturalmente. Ma per l’Italia e l’intera Europa» precisa il politologo. Docente a Innsbruck con cattedra di Scienze politiche, ha dato alla stampe, assieme ad altre due ricercatrici, Elisabeth Alber e Alice Engl, l’edizione 2020 di “Politika” ( edizioni Raetia, 320 pagine, 25 euro). Che è poi l’annuario di ciò che è accaduto dalle nostre parti in un anno trascorso tra consigli provinciali e comunali, commissioni dei Sei e dei Dodici, governo, Provincia, Stato e regioni. Libro-annuario capace di scavare tra i dati e le cifre, scandagliando gli esiti delle elezioni europee del 2019 e anche inerpicandosi tra sondaggi e indagini intorno ai grandi temi che hanno percorso il dibattito politico. Come, appunto, il doppio passaporto. Il quale parrebbe in grado di scaldare più la politica che la sociologia e dunque più i politici che le persone. Quello che si dice un falso problema. Ma comunque interessante. Se rivela, come riporta “Politika”, che anche nell’Alto Adige dell’autonomia matura e comunque inquieta la maggioranza di chi ci vive ritiene che vada salvata la convivenza, vadano preservati i rapporti tra i gruppi e la pace etnica più che afferrata un’ opportunità vagamente identitaria. Ma è anche il dopo coronavirus ad interessare Pallaver. Che vi vede la possibilità di ritrovare col fiato molto più corto di prima populismi e sovranismi. Travolti da un virus che non guarda ai confini. E che richiede collaborazione più che identità nazionali e territoriali.

E dopo che accadrà Pallaver? Naturalmente nella politica...

Ci sono già segnali abbastanza precisi.

Del tipo?

Che poco sarà come prima. Penso alle elezioni comunali che tra qualche mese comunque arriveranno. Anche se c’è chi ora discute di proroghe annuali. E poi ragiono anche sul referendum intorno al taglio dei parlamentari.

E qui che intravvede?

Parto da un dato: se vincesse il quesito referendario l’Italia si troverebbe a passare da avere un parlamentare ogni 90mila abitanti ad uno ogni 150mila. Sarebbe il primato europeo in termini di scarsità di rappresentanti.

Cosa prevede?

L’effetto coronavirus, come premessa, sta spostando l’interesse della gente dalle azioni dei parlamenti a quelle degli esecutivi. Si chiedono processi decisionali rapidi e una catena di comando riconoscibile e efficiente. Ebbene, questo clima immagino non favorirà una visione della vita politica in cui la componente di controllo istituzionale e di dibattito fornita dalle due Camere sia ancora centrale. Ma è un male.

Per quale ragione?

Detto che l’esecutivo necessita comunque di una maggiore capacità di incidere, resta il fatto che una legittimazione politica delle sue azioni, in una democrazia, dovrebbe restare centrale. E decisiva in ogni caso.

In questa fase i governi agiscono e diventano sempre più centrali instaurando quasi un rapporto diretto con la popolazione. E poi gli esperti sono sempre più decisivi, come è giusto in una fase di grave emergenza. Ma la politica dov'è ?

Sembra abbia poco spazio. Ma dovrà farsi sentire. E dovrà farlo anche localmente perché quello che sta accadendo produrrà conseguenze molto importanti.

Si riferisce anche all’autonomia?

Anche, naturalmente, ma non solo. Perchè sarà sempre più complicato insistere su alcune parole d’ ordine che fanno riferimento alla specificità , alla delimitazione degli ambiti e delle competenze. In una parola, ai confini.

Magari perchè il virus non ne ha....

Dopo questa peste vedo un arretramento dell’ubriacatura populista che ha investito l’intera Europa, con ricadute anche locali. In sostanza il revival nazionalistico ha subito un duro colpo dalla pandemia. Si è provato, all’inizio, a far valere i suoi parametri. Alcuni Stati ci hanno subito provato. Per poi comunque scendere a patti con la realtà. E a farlo con azioni, le quali, viste con gli occhi di oggi, appaiono abbastanza ridicole, come i blocchi e tutto il resto.

E dove ci porterà invece il virus?

Avrà una grande chance la tendenza al coordinamento delle azioni. A tutti livelli. Tra istituzioni locali e centrali, tra Stati e Ue, tra Ue e istituzioni globali. Si potrà passare dal regno, detto in senso figurato, dell’autogestione a quello della cogestione.

Cogestione significa coordinamento?

Vuol dire cambiare soprattutto orizzonte intellettuale. Rendersi conto che siamo legati come non mai, che le azioni dell’uno si ripercuotono sull’altro, che serve parlarsi e decidere insieme.

Pensa all'Europa?

E certo. Come sempre, come quasi sempre è accaduto anche in passato, con le crisi l’Europa parte male ma finisce bene. Anche in questo caso, nei primi mesi della pandemia la Ue è stata latitante. Poi è iniziata l’azione della Banca centrale, poi l’eurogruppo, le commissioni, il parlamento. La Ue può sbagliare ma alla fine resta l’unico luogo in cui Paesi diversi si possono coordinare. Dove altrimenti? Se non ci fosse occorrerebbe trovarne comunque un altro. Perchè se il virus non ha confine occorre trovare un luogo che ne è privo e dove si può ragionare in senso continentale e non statale. Se non lo si fa è la fine. Il virus sembra andare ma poi tornerà, senza politiche comuni.

Esempi?

Penso alla Gran Bretagna. Ne è uscita ma già adesso c’è una grande maggioranza che sarebbe contenta se arrivassero gli aiuti comunitari, chiamiamoli mes o coronabond.

E la nostra autonomia?

Dovrà imparare la lezione. L’autogestione va bene in tempo di pace ma non deve diventare un mito. L’autonomia starà ancora in piedi. Ma quando avanzano le crisi occorre mettere in atto meccanismi di cogestione. Intendo anche tra poteri. Altrimenti salta tutto.

Nessuno si salva da solo?

Oggi più che mai.

In conclusione?

Il tempo del fai da te, delle identità corporative, dei nazionalismi e dei sovranismi è scaduto.















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