Margherita Detomas a caccia del mistero della civiltà perduta 

Esplorazione. La giornalista altoatesina ha appena pubblicato il libro “Città invisibili” Vent’anni di spedizioni in Brasile sulle tracce dell’Eldorado sconosciuto di Percy Fawcett «Tutto è nato sul Renon, dove ho conosciuto Tim Paterson, il pronipote dell’esploratore inglese»


Giancarlo Ansaloni


Bolzano. Per la casa editrice WriteUp Site di Roma è uscito nelle scorse settimane il saggio storico libro “Città Invisibili - L’Eldorado di Percy Fawcett e Timothy Paterson” della giornalista-esploratrice fassana Margherita Detomas che dal 1994 lavora presso la sede Rai di Bolzano. Un’uscita in sordina, dopo molti anni di ricerche. Detomas dice subito: «Finalmente i miei amici sanno ora cosa sono andata a fare in Brasile durante le ferie per tanto tempo».

Come è iniziata la sua avventura?

La mia ricerca è durata oltre 20 anni e la stesura del mio ponderoso libro è iniziata dopo la morte a Collalbo dell’esploratore e scrittore Timothy Paterson ( pronipote del famoso esploratore britannico Percy Harrison Fawcett al centro della mia avventurosa ricerca, scomparso nel nulla nel 1925 nel folto del Mato Grosso mentre cercava le tracce di una città perduta. Al suon nome è legato a uno dei più grandi misteri dell’Amazzonia. Peterson dal canto suo visse in Italia, prima in Toscana e poi per quasi vent’anni sul Renon, dove è sepolto. Qui ci siamo conosciuti scoprendo una comune passione per le “mie” Dolomiti fassane, ma soprattutto per l’archeologia e viaggi d’esplorazioni nel Mato Grosso. Così ho potuto intervistarlo più volte finché mi chiese di accompagnarlo in Brasile, dove - mi disse – “avrei scoperto una bella storia.”

Come cominciò questa bella storia e chi era il suo protagonista?

Percy Harrison Fawcett, esploratore e cartografo reale fu inviato in Sud America dalla Royal Geographical Society di Londra a mappare i confini tra Brasile, Bolivia e Perù sin dal 1906. Ben presto fu travolto dalla passione per l’esplorazione avventurosa che lo spinse nel cuore inesplorato trasformarsi da cartografo a esploratore nel cuore del Mato Grosso. Le sue avventure hanno ispirato molti scrittori tra cui Arthur Conan Doyle e Peter Fleming, e altrettanti produttori di film hollywoodiani tra cui , “Civiltà Perduta” dedicato interamente a Fawcett uscito nelle sale in Italia nel 2017. Tra i produttori figura anche Brad Pitt. La stessa figura di Indiana Jones sarebbe stata ispirata dalle avventure del grande esploratore inglese.

Dove voleva arrivare esattamente Fawcett con la sue ricerche?

Sulla base dei dati raccolti durante le sue prime spedizioni, si era convinto che l’Amazzonia fosse la culla di una civiltà molto antica, più antica ancora di quelle Indigene attuali, forse progenitrice degli Inca, cercava insomma come Schliemann la “sua ultramillenaria “Troia, o Palmira in Siria, per citare altre città sorelle del Vecchio Mondo. Ecco perché il mio sottotitolo cita l’Eldorado. L’oro che cercavano Fawcett e Paterson era quello della ricerca e della scoperta. All’epoca, la sparizione misteriosa di Fawcett e dei suoi due giovani compagni fu seguita dai maggiori giornali dell’epoca che diramava notizie in tutto il mondo anglosassone e anche in tutta Europa. Fu un caso molto seguito, una di quelle notizie che non tramontano mai, corredato da tante, troppe interpretazioni. Ho trovato molto materiale negli archivi del tempo, a New York, Londra, e soprattutto “sul campo” in Brasile. Esistono un paio di biografie di Fawcett. Io ho voluto scrivere la mia versione, attualizzandola con il lavoro di Paterson.

Quali sono stati gli elementi che hanno influenzato le ricerche dell’esploratore Fawcett proprio in Mato Grosso?

Fawcett aveva scoperto un antico manoscritto che sono riuscita a visionare nella Biblioteca Nacional di Rio de Janeiro. Si tratta del Manoscritto n°512. Un grande enigma nella storia brasiliana. Parla di una spedizione del 1753 che partì alla ricerca di oro e invece trovò nella foresta dello stato di Bahia una città perduta con agglomerati di pietra, strade ad angolo retto, archi, statue e delle strane iscrizioni. Della spedizione e della città non si seppe più nulla. Un mistero assoluto. Rimane solo il manoscritto spedito con un corriere al Vicerè di Bahia. Da qui è nata la passione per la paleografia di Fawcett e, in seguito, di Paterson. Quella decina di pagine le ho volute tradurre. Reca dei caratteri misteriosi che sembrano ellenici o pre-ellenici, comunque del tutto estranei alle culture indigene del Brasile. Inoltre Fawcett aveva ricevuto in dono una statuina con caratteri misteriosissimi, che scomparve con lui. Pensava provenisse da una delle città perdute dell’Amazzonia. Uno dei capitoli del mio libro è intitolato: “Fawcett aveva ragione?”. Questo perché da anni accompagno il lavoro degli archeologi e paleografi brasiliani e stranieri con l’obiettivo di far luce sui tanti misteri che interessano tutta l’area amazzonica. Non va dimenticato che forse è la parte del globo meno studiata dalle università e dalle accademie. La ricerca in Amazzonia è appena cominciata. Paterson aveva scoperto alcune grotte con iscrizioni molto interessanti che aspettano tuttora uno studio multidisciplinare da parte scientifica. Io stessa ho partecipato a una decina di spedizioni ufficiali che racconto nel libro. Un bravo fotografo brasiliano mi ha ceduto le fotografie degli ultimi geoglifi. Sono delle costruzioni perimetrali che affiorano dalla terra a causa degli incendi e a causa della deforestazione selvaggia. In Amazzonia sono circa 500. Un numero enorme, che lascia supporre città murate, complesse, con una complessa ed evoluta civiltà. Queste sono evidenze straordinarie. Vorrei che gli esperti se ne occupassero.

Quali sono le sue conclusioni sul destino dei tre esploratori?

Da quando mi sono avvicinata alle vicende dell’esploratore scomparso, ho sentito la necessità di riscriverne la storia attraverso tutte le fonti a disposizione. Il lavoro è stato appassionante, e vorrei concentrarmi nel prossimo libro sulla figura di Paterson che ha continuato e consolidato il lavoro di ricerca. Traendo alcune conclusioni mi viene da dire che la ricerca delle “città invisibili” ha occupato diversi piani di realtà: da quella della ricerca archeologica e paleografica a quella più sottile e impalpabile, ma comunque esistente. Fawcett continua a ispirare una vastissima ricerca, molta letteratura e molto cinema, e la sua figura, ormai leggenda, rimane ieratica nel tempo. Vi sono dubbi ed equivoci riguardo al percorso della sua ultima spedizione del 1925, se si sia diretta verso nord o verso est. Questo causò molti problemi a chi seguì le sue tracce. Per molti fu un idealista, un visionario, ma le ultime scoperte gli danno ragione. Direi che oltre ad essere uno degli ultimi grandi esploratori, fu un vero precursore. Una personalità affascinante. Mi chiedi del destino dei tre esploratori. Alcuni affermano che morirono per cause naturali, perché esausti o malati, o per cause accidentali in acqua, o a causa di animali feroci. Per chiudere in qualche modo il “caso” che richiamò in Brasile troppi ricercatori sulle sue tracce, furono accusati anche degli Indigeni di una particolare tribù, i Kalapalo dello Xingù. Questa facile interpretazione, questo strano accanimento verso questo gruppo indigeno mi ha sempre lasciato perplessa. Pochissimi parlano portoghese, vivono tranquilli nelle loro terre e hanno pochi contatti con i bianchi. Ho voluto indagare, e per via di strane “coincidenze” mi sono recata sui luoghi in questione e li ho conosciuti. Furono grandi avventure. Prima ero entrata in contatto con altre tribù del Mato Grosso, come gli Xavante e i Bororo, grazie alla mia vicinanza ventennale con i missionari salesiani, tra cui l’Italiano Padre Giaccaria, che io considero un “santo”. La regione dello Xingù è però inavvicinabile, pericolosa, molto distante e difficile da raggiungere. Ho sempre avuto l’aiuto di molti brasiliani, di enti e di autorità locali, tra cui la guida personale di Paterson. I Kalapalo mi hanno chiesto chi ero e cosa volevo. Ho risposto che venivo da una regione con le montagne più belle del mondo, di cui nutro grande rispetto e che parlo una lingua madre, proprio come la loro, ossia “la lingua che sussurrano le madri”. Mi hanno accolto con onore. Ho capito che se ci avvicina con modestia e rispetto non c’è nessun attrito, nessun contrasto, nessuna violenza. Così è stato per me, e così è stato per Fawcett e per i suoi giovani compagni. Sono convinta che gli Indigeni non abbiano nulla a che fare con la sparizione misteriosa. Ho trovato negli archivi di Londra anche una sorta di vocabolario scritto dall’esploratore riguardo al contatto con un’altra tribù. “O Misteiro sobre Fawcett està no Mato” (Il mistero di Fawcett è nella foresta), mi dissero i Kalapalo, e a me bastò questo. La ricerca continua.













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