Salute mentale

I soccorritori “peers” a sostegno dei colleghi: «Siamo fragili anche noi»

Sono 47 i membri della Croce Bianca che offrono l’assistenza post-intervento. Tschimben: «Un incidente, un suicidio, la morte di un amico: in troppi ancora convivono con un trauma»


Aliosha Bona


BOLZANO. Ai soccorritori, quando raccontano del proprio lavoro, viene posta (quasi) sempre la stessa domanda: «Qual è la cosa peggiore che hai mai visto?». Come per una specie di attrazione per il dolore. Così, davanti ai loro occhi, passano quelle immagini indelebili fatte di notti insonni e di sirene accese che, talvolta, si traducono in ansia e stress, ma anche smarrimento, dolore e confusione.

Perché i soccorritori non sono supereroi invincibili. «In 35 anni di servizio ho visto piangere chiunque, dal colosso alto due metri alla giovane apprendista. Anche noi abbiamo delle emozioni. Anche noi, oltre alle vittime e ai loro familiari, dobbiamo seguire un percorso per superare un trauma», racconta Roman Tschimben. È il capogruppo dell'assistenza psicologica post-intervento della Croce Bianca, un servizio che si occupa della rielaborazione degli interventi e contribuisce alla salute mentale dei suoi collaboratori. La peculiarità dell'iniziativa, partita vent'anni fa ma esplosa solo recentemente, è che sono i soccorritori stessi (denominati "Peers") a prestare una spalla ai loro colleghi.

Tschimben, ci faccia un esempio. Quando è necessaria l'assistenza?
Quando il soccorritore ne sente il bisogno e si trova a convivere con un peso enorme. Cito un episodio: qualche anno fa, dopo un incidente stradale, siamo intervenuti per la morte di una persona. Non appena giunti sul posto, un nostro collega si è trovato di fronte ad uno dei suoi migliori amici. Al cospetto di certi eventi non si è mai preparati abbastanza.

Come si struttura questo aiuto psicologico?
Attraverso degli incontri, che possono essere comunicati alla Croce Bianca oppure rimanere anonimi. Il soccorritore che richiede aiuto si affida a uno dei 47 membri della Croce Bianca che offrono l'assistenza.

Chi sono?
Si tratta di personale con grande esperienza, che ha completato un periodo di formazione. Nel corso dell'ultimo anno hanno dedicato complessivamente 360 ore a sessioni di consulenza e hanno assistito 78 colleghi. Non siamo psicologi o terapeuti professionisti. Quando il trauma incide pesantemente sulla quotidianità di una persona la indirizziamo all'Azienda sanitaria.

Quando è nata l'esigenza?
Una volta l'assistenza avveniva solo ed esclusivamente davanti a un boccale di birra. Trent'anni fa nessuno sapeva che un servizio terapeutico, ben strutturato, avrebbe aiutato la salute dei dipendenti. Spesso un trauma veniva superato per necessità, perché non si poteva restare indietro. È capitato però che più di qualcuno lasciasse la Croce Bianca perché la divisa gli ricordava un terribile episodio. Perciò l'assistenza post-intervento ha tra i suoi obiettivi quello di mantenere il personale ed evitarne la fuga.

Il colloquio tra i soccorritori cosa prevede?
Dipende ovviamente dalla situazione. Se è un intervento singolo a creare disagio, allora si ripercorre ogni istante di quella giornata. Da ciò che si è fatto prima, durante e dopo il fatto. Raccontando un incidente piuttosto che un dialogo con un familiare della vittima si riesce a individuare il problema.

L'errore più grande è dare troppo per scontato cosa ci fa stare male. In che senso?
Ricordo di un intervento a casa di due genitori, disperati. Il cuore del loro bambino aveva smesso di battere e l'episodio aveva scosso notevolmente uno dei nostri soccorritori. Confrontandosi con uno degli specialisti ha scoperto che non era il decesso ad averlo traumatizzato. Anche perché in quel caso il soccorso fu inappuntabile per tempistiche e metodi. Capì che il dolore, invece, era dato dal fatto di non essere riuscito, secondo lui, a tranquillizzare un parente in lacrime.

Non sono solo i soccorritori a recarsi sul luogo di un incidente o ad un fatto particolarmente grave di cronaca nera.
Lo stesso discorso vale, infatti, per i pompieri: sentono le vittime urlare dal dolore, reggono un telone durante la rianimazione. Il disagio, che si manifesta attraverso disperazione e frustrazione, può essere causato anche da un accumulo di piccoli episodi o dalle ripetizione di un fatto, come ad esempio il suicidio. Sono episodi traumatici, che spesso finiscono per condizionare il proprio ambiente familiare. La cosa migliore da fare è parlarne al più presto.

Che caratteristiche umane deve avere un "Peers"?
In primis la resilienza, la capacità di interfacciarsi e l'intelligenza di porre le domande giuste al momento giusto. Per diventare soccorritori post-assistenza è necessaria una formazione di minimo cinque giorni con alcuni psicologi d'emergenza. Abbiamo notato un aumento di adesione del servizio e quindi è stato organizzato per la prima volta un corso in italiano che si concluderà a giugno di quest'anno. Presto il team di volontari crescerà di altri 12 membri.









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