Andreas sfiora l’impresa di accedere ai quarti di finale di un torneo dello Slam

Il tennista altoatesino sarebbe stato il quarto italiano di sempre dopo De Stefani, Pietrangeli e Caratti ad arrivare tra i primi otto giocatori agli Open d’Australia.


di Claudio Giua


di Claudio Giua

M'ero preparato all'evento con puntigliosità, cercando i precedenti storici. Se avesse vinto ieri, Andreas Seppi sarebbe entrato di diritto nel club degli azzurri approdati ai quarti di finale di uno o più slam.

Club esclusivo con solo altri quindici soci maschi: Pietrangeli, Panatta, De Stefani, De Morpurgo, Cucelli, Merlo, Barazzutti, Del Bello, Gardini, Sirola, Bertolucci, Caratti, Furlan, Sanguinetti e Fognini. Addirittura, l’altoatesino sarebbe stato il quarto italiano a conquistare, dal 1905, un quarto di finale dello slam d'Australia, dopo Giorgio De Stefani nel 1935, Nicola Pietrangeli nel 1957 e la sorpresa Cristiano Caratti nel 1991.

Approfondire fa sempre bene. Ragionare con troppi condizionali, no. Sbagliavo a credere che il match con il francese Jeremy Chardy - da ieri numero 24 virtuale del ranking ATP, con un salto in su di undici gradini - sarebbe stato combattuto ad armi pari, con il pronostico a favore di Seppi, più solido e tranquillo come dimostravano i match precedenti.

E che i quarti fossero a portata di mano. Non è stato nemmeno un bel match. A condizionarlo l'emozione e il gran caldo, certo, ma soprattutto l'eccessiva propensione di entrambi a stare un metro dietro la linea di fondo, a prendersi solo rischi calcolati, a tirare drittoni incrociati evidentemente poco efficaci. Game dopo game, però, Andreas ha accentuato questa ritrosia al combattimento, il francese l'ha superata. Con le inevitabili conseguenze.

Il primo set vede un'alternanza equilibrata di buoni colpi e banali errori. L'italiano prevale nel confronto nervoso, fino al break, ottenuto alla quinta occasione. L'ace sulla seconda di servizio nel successivo game ferma il risultato sul 7-5.

Poi, improvvisamente, Andreas si spegne mentre Chardy trova sicurezza e continuità di gioco. Scaldandosi, diventa inesorabile quando batte, potente e preciso com'è. Si prende facilmente un break e non lo cede fino alla fine del secondo set, che un desolato Seppi chiude con un doppio fallo: 6-3.

La partita da qui non ha più storia, se si esclude una palla break a favore dell'azzurro sul 2-1 nel quarto set, fermata dalla rete. Risultato esplicito: 5-7 6-3 6-2 6-2.

Onestamente, la sensazione è quella che, nonostante l'eccellente lavoro tecnico e psicologico svolto dal coach Max Sartori e dal team di Bordighera, Seppi sia tuttora a rischio di black out inspiegabili, seppure più rari che in passato.

Ha margini per migliorare, quindi. Se lo può consolare sappia che, grazie agli archivi digitali, le sue buone prove negli slam - Wimbledon 2012, Melbourne 2013 - saranno tuttavia spesso citate in futuro. Non subirà cioè l'effetto oblìo vissuto da Sada, Quintavalle e Jacobini, tre dei ventisette italiani arrivati - come lui - agli ottavi di finale di uno slam dai tempi del mitico conte Umberto De Morpurgo, 1928, che si ripeté tre volte nell'impresa.

Tre atleti di cui non conservavo memoria. Ingiustamente. Studiando, come raccontavo all'inizio, li ho re-incontrati. Carlo Sada e Ferruccio Quintavalle furono eccellenti giocatori negli anni trenta. Il primo, milanese, ebbe anche in sorte di fare il segretario e lo sparring partner tennistico di Walter Chiari (lo racconta Gianni Clerici), il secondo fu manager della gloriosa Bianchi, regina delle biciclette, e nel 1955 ebbe l'idea di chiamare una neonata casa automobilistica "Autobianchi".

Il romano Sergio Jacobini, contemporaneo di Nicola Pietrangeli e dunque un po' in ombra in quegli anni, nel '62 si tolse la soddisfazione di portar via un set a Rod Laver negli ottavi del Roland Garros: 4-6 6-3 7-5 6-1. Che vale un set oggi contro Roger Federer.

Impresa, questa, che è non riuscita oggi a Milos Raonic, il canadese nato a Podgorica nel 1990 (se non hai almeno un nonno slavo, di questi tempi non diventi un campione di tennis) che da anni qualcuno pronostica come un futuro Top Four.

Io ho qualche dubbio al proposito, perché al servizio spesso incontenibile e a un diritto potente non accoppia sapienza tattica e mobilità in avanti adeguate.

Come era accaduto due giorni fa all'australiano di origine croata Bernard Tomic (di due anni più giovane di Raonic e battuto in tre set), la sconfitta con Roger Federer, classe 1981, può essere un rigenerante bagno di umiltà.

Anche per lui si riparte da questo 4-6 6-7 2-6 da riguardare cento volte. Per capire come si diventa numeri uno. Da domani, i quarti dei singolari, senza italiani. Per Roger invece è la volta numero 137.

Melbourne offrirà ancora molto agli italiani: da seguire domani Errani-Vinci contro le Williams, poi Bolelli-Fognini (che ieri nel doppio hanno buttato fuori per 6-3 4-6 6-3 le teste di serie numero 5 Bhupathi-Nestor) e il junior Gianluigi Quinzi, numero 1 al mondo under 16, che sta ben facendo. Sarà una lunga settimana.

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