Antonella Bellutti, che a Mura ricordava Giovanna d’Arco

Bolzano. «Lei, a Sydney, mi ha fatto venire in mente L’Angélus di Millet, ha posato la bici come si poteva posare nel campo una vanga o un forcone, e c’era, o almeno mi è parso, una preghiera di...



Bolzano. «Lei, a Sydney, mi ha fatto venire in mente L’Angélus di Millet, ha posato la bici come si poteva posare nel campo una vanga o un forcone, e c’era, o almeno mi è parso, una preghiera di silenzio in mezzo a quel casino festante. E poi quel sorriso esitante, un sorriso da bucaneve che fatica a fiorire. E poi tutti quei capelli che saltano fuori dal casco. In genere le cicliste su pista portano capelli corti. Tre rimandi solo per i capelli: un quadro di Klimt, Il vento dell’est di Pieretti-Gianco, Giovanna d’Arco»: le parole sono dell’immenso Gianni Mura, in un’intervista del marzo 2019 pubblicata da La Repubblica. Lei è Antonella Bellutti, un’icona dello sport nazionale e non solo dello sport.

Antonella sabato 7 novembre ha festeggiato il compleanno. Poco più di mezzo secolo, 52 anni intensamente vissuti da atleta e in tanti altri campi. Classe 1968, bolzanina trapiantata in Trentino, è l’unica donna al mondo ad aver vinto due medaglie d’oro olimpiche in due edizioni consecutive delle Olimpiadi e in due specialità diverse della stessa disciplina, il ciclismo. Nel 1996 ad Atlanta nell’inseguimento individuale e vent’anni fa, il 21 settembre 2000 a Sydney nella corsa a punti. Inoltre vanta tre partecipazioni ai Giochi, di cui due nella versione estiva e una in quella invernale.

Una leggenda. Antonella ha fatto tante cose, molte imprese, sempre bene, con entusiasmo e senza mai scendere a compromessi. In principio fu l’atletica leggera: l’insegnante delle elementari Tullio Biasi la invita a provare e Andrea Vantini è il suo primo maestro. 100 ostacoli e le prove multiple: sette titoli giovanili, primatista italiana Juniores e poi la decisione di fare i 400 ostacoli, quando veste la casacca dell’Assi Giglio Rosso Firenze e incappa nell’infortuno che la porterà a mollare l’atletica. Gioca a basket e prova il triathlon, su indicazione del fratello Stefano, ma il nuoto non è il suo forte. Un giorno, in sella alla bici da triathlon, supera di slancio due signori “non qualunque” impegnati in una pedalata fuori porta. Nino Lazzarotto e Renato Valle sono due tecnici e la “folgorazione sulla via dell’Oltradige” è immediata. La inseguono, la raggiungono, la invitano a provare: strada e pista. Si trova, senza la minima esperienza a disputare un campionato italiano su pista al “Mercante” di Bassano del Grappa con Vittorio Broccardo a guidarla. Sale per la prima volta sulla bici con le ruote lenticolari e lascia tutti a bocca aperta: seconda dietro alla pluritricolore Gabriella Pregnolato, che alla fine le pronosticherà un roseo futuro. Azzurra al Mondiale ’92 in Spagna nell’Italia quarta nell’inseguimento, ad una manciata di secondi dal podio.

Chiude con il ciclismo. Diplomata Isef, inizia a lavorare in una palestra e in una scuola. Prima del Mondiale ’94 in Sicilia, il c.t. De Donà la invita a riprovare: buoni test, quarto posto. Entra nel Club Olimpico del Coni per medagliati o potenzialmente tali e ottiene la borsa di studio. Il trentino Dario Broccardo diventa il c.t. azzurro. Con il professor Antonio Dal Monte dell’Istituto di Scienza e ricerca dello Sport del Coni studiano la posizione in sella il manubrio a “canna di fucile” provata in giro per le piste di mezzo mondo, con qualcuno che ha voluto correggerla dal punto di vista normativo pensando fosse quello il suo vantaggio. In realtà Antonella era una predestinata, con un motore fisico importante e qualsiasi disciplina sarebbe stata alla sua portata. Sulla pista provvisoria dei Giochi di Atlanta si lascia tutte alle spalle, in finale annichilisce la francese Marion Clignet e conquista l’oro tra le lacrime di amici e tecnici presenti e di babbo e mamma davanti alla tv nella casa di viale Europa. Esultano anche il fratello Stefano, già buon ciclista passato al triathlon, e la sorella, al tempo impegnata in Africa con una Ong germanica. Antonella non è mai stata banale e mai lo sarà: scende dalla bici e la dedica è di quelle importanti, speciali: “allo sport pulito”. Tra l’olimpiade americana del 1996 e quella di Sydney 2000 lacrime e sangue: le difficoltà a tirare avanti, la bici lanciata in un momento in cui tanto sacrificio e impegno non erano assolutamente riconosciuti e tirare a campare stava diventando impresa ardua. Il ciclismo femminile non è mai stato simile a quello maschile in termini economici e sopravvivere non è mai stato facile. Dice basta, poi ci ripensa. A Sydney la prova dell’inseguimento non finisce bene per una serie di circostanze avverse. Un paio di giorno dopo si tuffa nella mischia della corsa a punti, senza particolari velleità e con di fronte avversarie di spessore. A lei non piacciono le cose tanto per fare e ci mette l’anima collezionando punti, tanti punti che la portano ad un oro inatteso, che coglie di sorpresa anche i telecronisti.

Poi l’angoscia: un articolo di stampa dice che 61 atleti azzurro presenti a Sydney avrebbero avuto nel sangue qualcosa che non andava a livello di Gh, l’ormone della crescita. Un incubo durato dieci anni, fino a quando un giudice ha dichiarato i fatti privi si sussistenza.

La terza Olimpiade è invernale: frenatrice sul bob con Gerda Weissensteiner (pluridecorata nello slittino) a Salt Lake City 2002. La prima del bob al femminile ai Giochi per le azzurre, costrette a prepararsi in condizioni logistiche per lo meno precarie, finisce con un settimo posto. Chiude con il bob, che poi la Weissestenier (con la Isacco) porterà al bronzo a Torino 2006, ma non con lo sport. Alle Olimpiadi di Atene potrebbe andarci in un’altra specialità del ciclismo: i 500 metri da fermo, ma non le viene riconosciuto il tempo di qualificazione. Poco prima aveva lasciato, non senza clamore, l’incarico di c.t. azzurro di tutta la pista, maschi inclusi, perché non le era stato sottoscritto un contratto. Disse: «Da donna impegnata per i diritti delle atlete non potevo accettare una situazione del genere».

Ha fatto un tante, tane cose: da atleta ha gareggiato con successo per tre federazioni (Fidal, Fci, Fisi), ha vinto due ori olimpici da record impressi sui libri di storia, è stata nella commissione nazionale pari opportunità, consigliere nazionale Coni, coordinatrice e promotrice-pioniera del modello di gestione dello studente-atleta di alto livello per la scuola superiore e l’università, docente, giornalista, scrittrice (“La vita è come andare in bicicletta - Autobiografia alimentare di una vegatleta" edizioni Sonda), conduttrice televisiva, nel c.o. delle Universiadi in Trentino. Ha fatto in conti con il male di vivere. Cadere e rialzarsi. Spesso è ripartita da zero, sempre a testa alta e all’insegna di sani principi e valoro e del suo motto: «Come possiamo fare qualcosa di impossibile? Con entusiasmo!».

Mai banale. Da alcuni anni vive ad Andogno, piccolissima frazione del comune di San Lorenzo Dorsino nel Parco Adamello Brenta, dove ha ristrutturato la casa del babbo e del nonno creando “Locanda Itinerande” (gerundio femminile) un B&B con ristorazione bio-vegana. Da un paio di lustri niente tv, solo radio e internet. Tanta vita all’aria aperta, in mountain bike, con gli sci, a piedi, anche in alta montagna, scalando tante cime, in una sorta di metafora dei suoi primi 52 anni. Conoscendola c’è da credere che stia pensando a qualche altra vetta da scalare, ad una nuova meta, ad una nuova sfida.

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