Calcio e hockey, all’appello manca il grande pubblico

Lega Pro e Champions: Bolzano si conferma città con una tifoseria difficile Tengono gli avvenimenti “una tantum”. Le esperienze Atp e volley Brillrover


di Gianni Dalla Costa


BOLZANO. Dove eravamo rimasti? Ah sì, ai 2300 spettatori del Druso per la finale di Prima Divisione con la Pro Vercelli. E ai 7000 del Palaonda a spingere il Bolzano verso il trionfo in Ebel.

Si riparte con numeri ben diversi: meno di 900 persone per il debutto in Lega Pro di un Alto Adige che comunque punta anche quest’anno alla promozione in B. E solo 1500 spettatori ad assistere allo storico successo del Bolzano Hockey in Champions League contro i finlandesi del Turku, un club col sangue blu nelle vene.

E allora, parafrasando i fratelli Coen, “Bolzano non è una città per tifosi”.

Anche perchè a soli 60 chilometri di distanza, le cose vanno ben diversamente. L’Aquila Basket è il fenomeno del momento, fa il pieno anche nelle amichevoli. L’Itas Volley i suoi 2500 spettatori li richiama anche se non è più la squadra “vincitutto” di un tempo.

Solo il Trento Calcio è in deficit di interesse: ma ne ha combinate di tutti i colori sul piano sportivo e societario, mica sfiorato la promozione in serie B!

E la stessa politica di marketing turistico-sportivo fra le due province è diversissima: in Trentino si investe sui ritiri, per esempio portando sul territorio due corazzate del calcio italiano quali Inter e Napoli.

La Provincia di Bolzano invece ha smesso da tempo di crederci: del resto, come dimenticare lo stadio Druso praticamente deserto durante le amichevoli della Roma?

Parlare di tifosi a questo punto è improprio. Meglio dire “fedelissimi”: come quelli della curva Nene Michi, uno spettacolo nello spettacolo durante le partite di hockey.

Ma parliamo di poche centinaia di anime che devono reggere il peso della coreografia in un Palaonda da migliaia di posti. Al debutto in Champions della scorsa settimana mancano all’appello almeno 2000 persone: difficile credere che sia solo l’esercito degli infastiditi dal tirammolla estivo sul futuro della società e la sua permanenza nell’hockey che conta.

L’Alto Adige Calcio deve lavorare. Non solo sul campo, dopo lo scivolone casalingo di sabato scorso col Bassano. L’operazione simpatia è tutt’altro che compiuta, proprio a Bolzano i legami col tessuto sociale cittadino sono ancora sfilacciati. Forse è il caso di scendere qualche volta dal buen retiro di Maso Ronco, magari con la partitella del giovedì giocata a porte aperte in uno dei campi cittadini.

Il Druso, forse mai come quest’anno, rischia di restare spesso, troppo spesso, desolatamente semivuoto. L’abitudine della gente alla C1, un calendario-spezzatino con partite dal venerdì al lunedì, la possibilità di vedere i match in tv: tutti fattori che potrebbero portare in vita lo stadio cittadino solo in occasione di eventuali playoff.

Il presidente dell’Fc Walter Baumgartner non è comunque preoccupato per la scarsa affluenza alla prima casalinga della squadra: «Che il nostro sia un pubblico esigente lo sappiamo, e lavoreremo in tal senso, specie in città. Sabato poi era una delle poche giornate di bel tempo e inoltre tra la gente manca l’abitudine alla partita giocata non di domenica. Ma sono fiducioso: se la squadra farà bene, come credo, la gente arriverà. Poi, e lo dico da sempre, uno stadio all’altezza, moderno, funzionale, più a dimensione di famiglie, certo ci aiuterebbe».

La storia, passata e recente, insegna che a Bolzano reggono l’urto del disinteresse collettivo solo le grandi manifestazioni “una tantum”. Palaresia sempre gremito durante la Coppa del mondo di trial fino a qualche anno fa; l’Ice Gala (almeno finchè c’è la Kostner); o il pienone in Coppa Davis di tennis nel 1992, preceduto da una serie di esibizioni annuali dall’87 in poi. Ma già i due tornei Atp, anni 1993 e 94 (quelli con Stich e Pioline, per intenderci) hanno avuto un epilogo diverso. Ricorda Alex Tabarelli, uno dei promoter: «Constatammo che era difficile tenere certi livelli di presenze per tornei di 9 giorrni di durata. Comunque, vendemmo i diritti non per un problema di numeri sugli spalti».

Due stagioni, non di più, durò l’Alto Adige Volley-Brillrover, nata ad immagine e somiglianza dell’Itas Diatec. Poche centinaia di persone, e quasi tutte della piana di Mezzolombardo da cui proveniva l’ideatore del progetto, Max Dalfovo, per una squadra che sfiorò la promozione in A1 per soli due punti al tie break con Vibo Valentia. E c’è latitanza di pubblico anche sulle piste da sci: Gardena e Badia soffrono la mancanza di personaggi alla Alberto Tomba, i fondisti in Coppa del Mondo a Dobbiaco faticano soli con se stessi.

Più regolare il rapporto con i tifosi per il Neruda Volley, ultimo fenomeno sportivo di alto livello in provincia. «Nella scorsa stagione siamo andati oltre le previsioni - commenta il presidente Rudy Favretto - attestandoci su una media di 5-600 spettaori. Sapevamo di dover soffrire la concorrenza di hockey e calcio ma ci è andata bene. E quest’anno, in A2, puntiamo ad arrivare al migliaio. Anche se siamo e saremo sempre lontani dalle realtà che affrontiamo in trasferta».

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