L'intervista

Il mito Valery Borzov: «La guerra è spaventosa, all’Italia dico grazie» 

Il campione olimpico dei 100 e 200 metri è stato il primo presidente del Comitato olimpico ucraino e ci racconta la situazione che sta vivendo a Kiev


Marco Marangoni


BOLZANO. «Onorai l’Unione Sovietica ma questa guerra è spaventosa. Quando un razzo russo cade senza aver colpito nulla facciamo un grande sospiro, quasi ci rallegriamo. La guerra è la natura selvaggia del ventunesimo secolo». Emozione e tanta commozione. Così dalla sua casa a Kiev, Valery Borzov mito della velocità nell’atletica leggera, amico e rivale di Pietro Mennea.

Borzov, oggi 72 anni, vive nella capitale dell’Ucraina assieme alla moglie Lyudmila Tourischeva, una delle grandi della ginnastica artistica. Nella bacheca delle medaglie della consorte, separata da quella del marito, ci sono nove medaglie olimpiche – sei brillano d’oro vivo – e otto ori mondiali conquistati nel decennio ‘60-‘70.

Valery, primo presidente del Comitato olimpico ucraino che oggi è guidato dal mito del salto con l’asta Sergej Bubka (entrambi sono i due membri Cio in quota Ucraina), resta l'unico europeo ad aver vinto l'oro nei 100 e 200 metri nella stessa edizione delle Olimpiadi: accadde mezzo secolo fa a Monaco di Baviera.

Originario di Sambir nella regione di Leopoli vicino al confine con la Polonia, Borzov è stato un alfiere dello sport dell’Urss tanto da aderire ai giovani comunisti leninisti del Komsomol, ma ora insieme a tutto il suo Paese vive l'orrore dell'invasione voluta da Mosca.

«È spaventoso guardare il telegiornale e vedere le strutture civili e le abitazioni che vengono distrutte: muoiono le persone a noi familiari», dicono al nostro giornale in questa intervista in esclusiva Valery e Lyudmila che dalla dissoluzione dell'Urss sono a tutti gli effetti ucraini. Borzov, soprannominato il “missile a due gambe”, era il grande rivale di Pietro Mennea. Sul podio dei 200 ai Giochi del '72 sono saliti assieme, Valery sul gradino più alto, la "freccia del sud" su quello più basso. A differenza di Mennea, Borzov non è mai stato primatista mondiale dei 200 dove il suo personale è di 20"00 (10"07 sulla mezza distanza).

Che rapporto aveva con Mennea?

Pietro era davvero speciale in tutto, la natura lo aveva dotato di enormi individualità, era prima un mio amico e poi un rivale.

L’Italia supporta l’Ucraina in questa fase storica, che ricordo ha degli italiani?

Sono molto felice degli aiuti, gli italiani mi hanno reso amico dell'Italia proprio grazie ai destini sportivi di Pietro e mio.

Restiamo all’Italia: cosa pensa del nuovo campione olimpico dei 100 metri Marcell Jacobs?

Voglio augurare a Jacobs di migliorare il suo record (9"80 sui 100, ndr) e di sorprendere se stesso e ancora una volta i suoi tifosi.

Lei è rimasto imbattuto in Europa nei 100 metri dal 1969 al 1977 - nel 1978 a Praga, Mennea vinse 100 e 200 – cosa ricorda dell’impresa di 50 anni fa alle Olimpiadi di Monaco di Baviera?

Sono momenti che resteranno nella memoria per tutta la vita, dalla festosa reazione degli spettatori allo stadio alla maggiore attenzione dei giornalisti, dalle congratulazioni di parenti e amici fino alla popolarità per strada e nei luoghi pubblici. Quando ho tagliato il traguardo il mio primo pensiero è stato: “è davvero così semplice?”.

Nel 1978 i primi guai, l'infortunio al tendine d'Achille e il ritiro: quanto le è costato appendere le scarpette al chiodo e rinunciare alle Olimpiadi di Mosca '80?

La decisione di porre fine alla carriera è stato, unitamente al tradimento di alcuni amici, il momento meno bello della mia vita. Sognavo davvero di partecipare alle Olimpiadi di Mosca ma ho tirato un sospiro di sollievo quando mi sono reso conto che non avrei potuto esprimermi al meglio.

Lei è stato un simbolo dello sport sovietico, un movimento organizzato nei minimi dettagli per spiccare a livello planetario.

L'Unione Sovietica fa parte della mia biografia, insieme a tutti i suoi vantaggi e svantaggi, per me è stato un onore portare la bandiera del Paese alla chiusura dei Giochi di Monaco di Baviera.

Dopo una carriera sportiva lunga 16 anni sotto i colori sovietici, in seguito all'indipendenza del 1991 lei è stato presidente fondatore del Comitato olimpico nazionale ucraino, che sensazioni ha provato?

La creazione del Comitato è avvenuta sulla base i documenti che ci impegnavano a seguire le tradizioni degli sport nazionali e del movimento olimpico internazionale. La missione principale della mia presidenza era far ottenere all'Ucraina il riconoscimento dal Comitato Olimpico Internazionale.

Come pensa del doping, piaga nello sport?

Il doping è una malattia morale dello sport moderno, personalmente ho ottenuto vittorie e risultati prestigiosi senza essere ricorso al doping».

Cosa servirebbe all’atletica leggera del domani?

L'innovazione è il motore del progresso e l'atletica è già cambiata perché è diventata più femminile.













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